TIM HECKER, 24/4/2023
Udine, Auditorium Zanon.
Nessuno ha visto Tim Hecker, lunedì scorso, se non il fotografo Nicola Merlino coi suoi potenti mezzi, a riprova che la realtà ha smesso da tempo di essere anche solo minimamente oggettiva. Per fortuna, invece, lo hanno ascoltato/sentito in molti. L’Auditorium Zanon era pieno e io sono grato ai ragazzi di Cas’Aupa (grandissimi) e al Far East Film Festival di Udine per aver portato un classico contemporaneo nella piccola regione italiana dove vivo. Nonostante due suoi album siano collegati al Giappone, la sua presenza sarebbe stata più appropriata allo Science + Fiction Festival di Trieste: dopo questo colpaccio anche nella mia città qualcuno – magari solo per non sfigurare – forse penserà di usare i suoi fondi per aprire una finestra sulla musica all’interno di una manifestazione incentrata sul cinema.
Il set live del musicista elettronico, producer, sound artist e compositore di colonne sonore canadese (lo score per “Infinity Pool” di Cronenberg-figlio è molto bello, ma voglio vedere anche il film), che seguo quasi dagli inizi con Alien8 e dalla sua collaborazione con Aidan Baker, è incentrato sull’ultimo disco uscito da pochissimo per Kranky, No Highs. No Highs è un album di pancia. Anche dal vivo la cosa che rimane più impressa sono i bip tipo codice morse o telegrafo che provengono dal nero in cui Hecker e le sue macchine sono immersi e che non possono non far pensare alla richiesta di soccorso di qualche equipaggio spaziale morente, giunta sulla Terra quando già è troppo tardi. Al netto delle basse frequenze, che come sempre si percepiscono e si spingono di più in un teatro che nelle cuffie di casa, e al netto di come Hecker prende pezzi di di No Highs e in parte li risistema e mescola, a riprova tra l’altro di quanto lo ha creato coerente a livello di sound, il live ha successo perché questo è un album molto emotivo, semplice, che parla anche ai non introdotti, con melodie che funzionano e qualche suono alieno che risveglia la nostra immaginazione bambina.
La totalità pubblico in modo molto civile, senza bisogno del conforto di visuals o altre cose, tace per tutta l’ora del concerto e mantiene molto salda l’attenzione. Non è affatto scontato. Rimanendo nell’ambito del genere di Hecker: non il live più potente a cui ho partecipato, ma forse quello più suggestivo.