THOMAS ANKERSMIT, Homage To Dick Raaijmakers
Il nome dell’olandese Thomas Ankersmit gira da un bel po’ di anni, ma le sue pubblicazioni eminentemente discografiche sono rare: è apparso una volta su Touch e una su Pan, in quest’ultimo caso assieme a Valerio Tricoli.
Dick Raaijmakers (1930-2013, anche lui olandese) è stato un pioniere della musica elettronica.
Attraverso strumentazione analogica, in primis il sintetizzatore Serge (ma anche microfoni a contatto e nastri), Thomas, su commissione di Sonic Acts e dello Stedelijk Museum di Amsterdam, ha realizzato questo pezzo unico di 34 minuti che appunto vuole essere un omaggio al lavoro di Raaijmakers, anche quello teorico: si parla infatti di “olofonia” (un particolare tipo di registrazione che cerca di restituire l’idea di tridimensionalità) e di come noi potremmo sentire suoni non davvero prodotti da Ankersmit, ma prodotti dal nostro orecchio interno e dai movimenti della nostra testa. Non ho in alcun modo la competenza teorica per discutere di cose simili, anche se a un livello molto basso credo sia chiaro come molti artisti in questo campo giochino col modo in cui il nostro corpo e le nostre orecchie reagiscono al suono, in termini di equilibrio e di percezione dello spazio. Per motivi che mi sfuggono, ma legati a questo discorso percettivo, Ankersmit suggerisce di sentire il disco dallo stereo e non dalle cuffie, per quanto io possa garantire che è un’esperienza anche questa, direi più sofferta.
Il tipo di strumentazione utilizzata e il quadro in cui questo disco si colloca restituisce un suono primitivo, puro, essenziale, asciutto, in alcuni momenti noise prima che inventassero il noise: elettricità, cortocircuiti, disturbi, pulsazioni, a un certo punto la sensazione di passare attraverso un temporale, ovviamente l’inevitabile associazione mentale alla fantascienza.
C’è chi gradisce molto questo tipo di operazioni di risalita verso la sorgente, fino all’epoca dei primi esperimenti con “le macchine”: non ho il dato statistico, ma determinate uscite (ristampe e inediti) di questi anni parlano chiaro. A questa categoria di ascoltatori (e non me la sento di aggiungerne, a parte quella di chi ascolta Nakamura e altri che utilizzano la tecnica “no input mixer”) consiglio di assaggiare questo “homage”.