THEOLOGIAN, Some Things Have To Be Endured
Terzo disco per Theologian, il nuovo corso di Navicon Torture Technologies. Si tratta di un progetto più eclettico e ambizioso (anche più maturo?) del suo antenato, che per inciso non valeva mica poco. Curioso, nel caso specifico, vedere Lee Bartow coinvolgere così tante donne, alla luce di trascorsi molto ambigui e molto poco politically correct quanto al modo di relazionarsi con loro. Nomi conosciuti nel giro sono quello di Rachael Kozak/Hekate, che mette la voce sopra la cassa dritta (inusuale da queste parti) di “Black Cavern Myopia”, e della “Sewer Goddess” Kristen Macarthur, alle prese con lo spoken word di “The Conjoined Deviant Procession”, le cui percussioni meccaniche e gigantesche rappresentano l’elemento più spaventoso e atterrente. Some Things Have To Be Endured cerca di unire voci femminili, anche più celestiali di quanto ci si aspetterebbe, alla potenza percussiva dell’industrial (quest’ultima una carta giocata molto bene anche in passato) e, come ovvio, alle atmosfere acide e disperanti che caratterizzano Theologian sin dall’inizio. Forse però il problema sta qui, nel senso che si è perso qualcosa in termini di profondità, nonostante al mastering ci sia l’onnipresente James Plotkin: dischi come The Further I Get From Your Star, The Less Light I Feel On My Face ti gettavano in un buio sconfinato, quasi spaziale, qui invece la ricchezza di ospiti, dunque di soluzioni, sembra aver in parte distolto Bartow sia dallo scavare abissi col proprio suono, sia dall’espanderlo e forzarlo in termini di volume fino a farlo quasi esplodere, due cose che faceva benissimo.
Non l’album di Theologian da cui suggerirei di partire per capirlo, insomma, ma da qui a dire che è stato un buco nell’acqua ce ne passa.