THE VISION BLEAK, The Kindred Of The Sunset / The Unknown
Il gruppo quest’anno ha pubblicato un ep e un full length. Accorpiamo le due recensioni.
THE VISION BLEAK, The Kindred Of The Sunset (di Mario Scotto)
Finalmente giungono notizie dai The Vision Bleak, dei quali si temeva di aver perduto le tracce. L’album precedente, Witching Hour, risale infatti al 2013, ma gli affezionati del gruppo tedesco non si sono spazientiti più di tanto negli intervalli tra le diverse uscite, infatti la cadenza triennale altro non è che il ritmo discografico prescelto da questo duo horror metal dalle sfumature gotiche. Questo non è il nuovo full length, bensì di un succulento ep di quattro brani, formato inedito per i Vision Bleak, che ha svolto la funzione di antipasto in attesa della loro sesta pubblicazione. Due pezzi, “The Kindred Of The Sunset”, che dà titolo all’ep, e “The Whine Of The Cemetery Hound”, sono strutturati coerentemente allo stile musicale consueto della coppia Schwadorf/B. Konstanz, tanto che sono presenti anche nel long playing. Il primo è contraddistinto da un rifferama incalzante che scandisce il tempo come un metronomo, mentre il successivo appare molto più oscuro, con il cantato mortifero di Konstanz a evocare con resa perfetta un’atmosfera da incubo e con le linee ritmiche che si velocizzano per poi placarsi in un finale ancora più plumbeo, affidato all’alternanza di pianoforte e violino. Le due canzoni restanti sono invece delle piccole chicche esclusive. Innanzitutto una cover, la prima registrata dal gruppo bavarese, di “The Sleeping Beauty” dei Tiamat, estrapolata da Clouds (1992), cioè prima che la formazione di Johan Edlund virasse in direzione gothic rock. La canzone possiede dunque un’ossatura di base tipicamente death/doom metal, resa tuttavia più inquietante dalla personalizzazione operata dai Vision Bleak, in particolare sotto il profilo vocale. A sigillo simbolico dell’ep troviamo la malinconica “Purification Afterglow”, pezzo strumentale di breve durata con archi e chitarra acustica. Se in considerazione di queste due ultime composizioni esclusive The Kindred Of The Sunset si rivolge ai fan più accaniti e ai collezionisti, tutti gli altri possono con tranquillità sentirsi The Unknown.
THE VISION BLEAK, The Unknown (di Daniele Zennaro)
Ci sono dei gruppi che hanno sempre avuto tutte le carte in regola per “sfondare” nel vero senso della parola, ma che, per un motivo o per l’altro, non sono riusciti ad andare oltre a un certo livello di notorietà e successo in termini di pubblico. Uno di questi sono i tedeschi The Vision Bleak. Ai tempi del loro esordio The Deathship Has A New Captain, furono incensati da una parte della critica metal, che li presentò come la “next big thing”: quelle “9 songs of death, doom and horror” erano obiettivamente qualcosa di fresco e in un certo senso di inedito, con la voce “gotica”, le influenze post-punk e i passaggi più metal che a tratti lasciavano immaginare i Death SS (dai quali hanno preso in prestito la definizione “horror metal”) suonati dagli Entombed. Dieci anni prima i Type O Negative ci avevano illustrato come unire goth e metal fosse possibile e i Vision Bleak rappresentavano una risposta europea, suonata da persone con un chiaro background estremo. Da The Deathship Has A New Captain sono passati ormai dodici anni e questo nuovo The Unknown è il sesto capitolo di una discografia in cui errori non se ne sono visti. Il sound è rimasto più o meno lo stesso di sempre e non sembra aver subito grandi variazioni, fatta eccezione per alcuni passaggi di blastbeat su “From Wolf To Peacock” e per delle ottime digressioni acustiche su “Spirits Of The Dead” e “Who May Oppose Me?”. Ritroviamo anche la componente death su “How Deep Lies Tartaros”, anche se il miglior aspetto di questo lavoro è la componente dark di “Kindred Of The Sunset”, che ci ricorda i migliori Sisters Of Mercy (metallizzati ovviamente). Buono l’artwork, nonostante venga da chiedersi se la somiglianza con quello di In The Nightside Eclipse degli Emperor sia voluta o meno.
Di per sé, questo non sembra un episodio di cui lamentarsi: il gruppo in questione ci ha sempre abituato a un preciso standard qualitativo che qui non viene meno. Però, allo stesso tempo, dai Vision Bleak è lecito aspettarsi di più, proprio in virtù delle loro qualità summenzionate. Se è vero che in un epoca di cloni e di revival inutili la loro rimane una proposta solida, manca ancora quel disco che faccia la differenza e che dia loro le carte necessarie per fare il salto di qualità. Pur non potendo ignorare che in sedici anni di carriera siano diventati un nome di un certo rilievo, non si sono mai trasformati in una realtà veramente grossa, di quelle che diventano headliner ai festival importanti e che smuovono le folle.
Al di là di queste considerazioni, The Unknown rimane un lavoro valido e – se amate il duo teutonico – comprandolo farete la scelta giusta. Chi non li conosce molto, inoltre, potrebbe scoprire un gruppo su cui puntare.