THE SMOKING BONES, Authorize Yourself
Ci eravamo già occupati delle ossa fumanti un anno fa, in occasione dell’ep Moods, e le ritroviamo oggi con un album che celebra il loro amore per il Seventies rock più duro, sporcato di rock’n’roll e sonorità scandinave. Non manca nemmeno una digressione lungo le strade polverose ai confini del Joshua Tree con la cover dell’intramontabile “Green Machine” (serve davvero citare il gruppo che l’ha resa immortale?), naturalmente riletta alla loro maniera e gustosa anche in questa salsa meno pompata. Sembra quasi tutto facile per la band: prende come ingredienti i suoi gusti musicali, per quanto vari, e li fa collidere all’interno di una formula personale e persino straniante nel suo legare decadi e luoghi differenti. In fondo, proprio questa voglia di scardinare le regole rappresenta il concept di Authorize Yourself, un album che intende convincere chi ascolta a rivedere i suoi schemi mentali e ad accettare una proposta mai troppo rigida o ancorata a idee prefissate.
Le nove tracce scorrono veloci e trasportano lungo una highway immaginaria che scavalca oceani e continenti sul filo di anthem divertenti e sguaiati, spavaldi nel loro incedere ricco di melodie catchy e di chitarre affilate, ma fa tutto parte di un gioco di rimandi che strizza l’occhio al bagaglio di chiunque si dichiari devoto del rock più autentico e genuino. Non c’è dubbio che il vero motore portante di questo album sia il riffing scarno e privo di orpelli che ne spezzino l’incedere dritto al punto, così come dei cori (cfr. “Gotta Face It”) che avrebbero fatto furore nelle mai troppo rimpiante college radio. Rispetto al debutto, si è fatta strada una maggiore attenzione allo spirito garage che occhieggia qua e là lungo i brani e trova il suo apice nella conclusiva “Fall Tonight”, nulla del resto che non fosse già presente e ben assimilato nel DNA della band. Come avevamo già sentenziato al tempo: It’s only rock’n’roll but I like it! Serve aggiungere altro?