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THE SICK ROSE, Someplace Better

Someplace Better è il settimo album per i torinesi Sick Rose e arriva in tempo per festeggiare i loro trentacinque anni di carriera con undici brani originali nei quali miscelano garage, rock’n’roll e power pop, per una scaletta che dimostra come si possa giocare con vari linguaggi e negli anni creare una formula personale in costante equilibrio tra energia e melodia, romanticismo (d’altri tempi?) e voglia di divertirsi con il rock senza dar troppo peso alle definizioni. La presenza di Ken Stringfellow come produttore spiega qualche strizzata d’occhio ai R.E.M. dei tempi che furono, con quel retrogusto malinconico e al contempo mai troppo pesante, il che del resto non guasta all’interno di un lavoro che non abbandona mai una leggerezza di fondo. Leggerezza che non vuol dire superficialità, quanto piuttosto punto di arrivo di una lunga strada che ha visto i Sick Rose alle prese con un’evoluzione costante sin dalla prima metà degli anni Ottanta, quando debuttarono all’insegna del garage rock con l’album Faces. Le tastiere di Stringfellow aggiungono una spezia in più alle composizioni e contribuiscono alla riuscita di un disco che non punta a giocare la carta dell’irruenza giovanile (che apparirebbe fuori luogo), ma preferisce far fruttare la lunga esperienza raccolta per offrire agli ascoltatori un viaggio ricco di sfumature e rimandi a un’idea di rock forse oggi oscurata dalla continua ricerca di una nuova moda e di un nuovo fenomeno usa e getta. Qui, al contrario, si riannodano i fili del genere dai primi vagiti alle derive psichedeliche degli anni Sessanta e al revival degli Ottanta, poi si mette il tutto al servizio di una scrittura che non si nega nessuno sfizio, neanche uno strumentale che finisce addirittura per diventare il titolo di tutto. Retrò, ma ne senso migliore del termine.