THE OCEAN, Phanerozoic II: Mesozoic-Cenozoic
Contemplating, trouble making, even now… the air is getting hot and dry,
Sticking to your skin and your open wounds, the sun burns us alive,
That’s how we got to know
Con queste parole si concludeva “The Great Dying”, ultima traccia di Phanerozoic I-Palaeozoic nonché uno dei pezzi più intensi della ormai ampia discografia dei The Ocean. Il drammatico racconto della catastrofe biologica avvenuta tra Permiano e Triassico ci aveva lasciato alle prese con l’inquietante parallelismo tra le cicliche estinzioni di massa dell’eone Fanerozoico e le conseguenze del cambiamento climatico in atto.
La vita si libera, si espande in nuovi territori e abbatte tutte le barriere, dice Ian Malcom in “Jurassic Park”: infatti, la grande storia degli esseri viventi (così come quella della band tedesca, due linee evolutive che si intrecciano dall’uscita di Precambrian nel 2007) non si è interrotta 250 milioni di anni fa. Tocca quindi a Phanerozoic II: Mesozoic | Cenozoic raccogliere il testimone del predecessore e percorrere le successive ere geologiche fino alla comparsa dell’Homo Sapiens e al suo impatto sull’ecosistema.
L’abilità di Robin Staps e compagni nello spaziare tra vari generi con grande eclettismo e senza mai perdere la loro identità è cosa nota, pertanto a stupire non è l’usuale varietà di suoni ed influenze, quanto, piuttosto, l’armonia che si respira nelle (pur complesse) trame di queste otto tracce, dove le due anime della band – quella impetuosa di matrice hardcore/metal e quella più melodica e insofferente a paletti stilistici – convivono e si bilanciano superando la rigida dicotomia che aveva caratterizzato i precedenti lavori (su tutti il binomio Heliocentric/Anthropocentric).
Il risultato di questa maturazione a livello compositivo è una vera e propria immersione nel flusso del tempo, in cui il cantato di Loic Rossetti funge da punto di contatto con il presente. Spiccano l’introduttiva “Triassic”, i cui malinconici accordi di chitarra e il turbinoso giro di basso evocano paesaggi post-apocalittici e la disperata lotta per la sopravvivenza delle forme di vita scampate alla Grande Moria, e l’immensa “Jurassic | Cretaceous”, in cui la furia delle chitarre distorte e le atmosfere meditabonde in stile Tool si rincorrono, lasciando descrivere l’ascesa e la rovinosa caduta del regno dei dinosauri alle voci di Rossetti (magistrale nel destreggiarsi nell’intrico di parti melodiche e growl) e del consueto ospite Jonas Renkse (Katatonia).
Pieces are shattered once again
You’re no longer innocent
And no, this did not come out of the blue
Well how exactly did you expect me
To react when you keep pushing it?
Keep pushing the needle in
Dai testi è facile intuire come l’analogia tra quanto accaduto nel passato e le attuali problematiche ambientali rappresenti la chiave di volta del tutto: l’accusa è ancora una volta rivolta alla nostra specie, in possesso del potenziale necessario per fare marcia indietro ed esplorare modelli di sviluppo alternativi, eppure indifferente alla lezione scolpita sulle rocce del nostro pianeta e sorda agli avvertimenti della Natura.
La domanda che viene spontaneo porsi alla conclusione di “Holocene” è: cosa ci aspetta in futuro? Per quanto riguarda i The Ocean, è difficile immaginare quale sarà il prossimo passo evolutivo: esaurito il filone narrativo che ne ha alimentato la crescita fino all’affermazione quali “alfieri del metal sperimentale”, sarà necessaria l’ennesima rivoluzione, magari ripartendo proprio dal delicato tema del destino sempre più incerto dell’umanità.
Non sussistono dubbi, invece, sul fatto che la storia degli esseri viventi proseguirà con o senza di noi. È questa la grande lezione del Fanerozoico, sintetizzata nelle parole di Ian Malcom: la Vita vince sempre.