THE NECKS, Vertigo
Provateci di notte: più che un suono, ascolterete la vostra coscienza mutare di stato, sull’orlo della perdita di equilibrio.
I Necks sono psicoanalisti dell’avant-jazz, gli unici capaci di indurre l’ipnosi alla stessa musica che creano, trasformandola in materia in continuo e inesorabile mutamento, con legami fisico-chimici che ribaltano le prospettive della meccanica classica.
Vertigo, ultima fatica di Chris Abrahams, Tony Buck e Lloyd Swanton, è qualcosa di sconosciuto. Un luogo sonoro, unica traccia senza pause dove percepire la saturazione nel vuoto. Una sola lunga astrazione, dove il silenzio è attratto dai richiami e dalle ripetizioni in una rincorsa impossibile. È sogno senza gravità da cui persino il pianoforte esce trasfigurato, privo di corpo, come se aleggiasse in attesa di un’attrazione magnetica.
Mini-massimalismo in cristalli, musica geo-sensibile, jazz ambientale acusmatico di classe purissima, suonato da tre impassibili tecnici, rigidi nella pur quasi totale libertà, perfino implacabili nel muovere il nulla e farcelo esplodere davanti con una teatralità gelida fatta di un niente densissimo, suonato come se fossero dietro a un muro di pioggia e foschia che assorbe e confonde. La medicina dice che la vertigine è una distorsione della percezione sensoriale. Nel caso di questo disco essa è unita alla più totale assenza di peso, a tratti quasi gravata di un “vuoto pneumatico” (intorno al minuto venti). Un vuoto che ha rifrazioni accecanti, quando Abrahams suona i sintetizzatori al posto del pianoforte, bagliori da alba marziana, precisamente punteggiata dalle esplosioni – la batteria di Buck, qualcosa di impressionante, da ascoltare con la massima concentrazione nel dipanarsi della sua geometria, intorno al minuto trenta – che vanno a perdersi verso gli ultimi istanti di rincorsa drone, metallo ascensionale e luminescente. Finisce tutto con un ritorno all’equilibrio stabile e alle domande lasciate dal finale aperto, fatto di inquietante musique concrète (minuto quaranta).
Non è chiaro dove vogliano arrivare questi tre middle aged gentlemen australi dall’aplomb assoluto. Non è chiaro neppure come collocarli, essendo tanto post-rock quanto avantgarde, tanto free-jazz quanto doom. Ovunque lo vogliate, non fa differenza. Perché questo album sta benissimo a fianco del capolavoro assoluto Drive By, ed entrambi non possono essere messi sullo scaffale con una etichetta al fianco. Sarebbe come etichettare il suono del vento. Questa è musica unica, imperdibile, vertiginosa appunto.