THE NECKS, Unfold

The Necks can often be a jazz band by name and a noise band by nature.

Kate Hennessy su The Wire, Febbraio 2017

Mettiamo subito le cose in chiaro: in questo disco non troverete il sublime smarrimento di Vertigo o il delicato senso di sospensione di Open. Troverete poco in comune con Drive By o con Sex, solo per citare due fra le vette creative dei Necks: i tre ormai attempati strumentisti sconvolgono – qui più che altrove – sia la grammatica, sia la sintassi del loro discorso musicale.

Non hanno mai fatto mistero di preferire il cd come supporto per la loro musica, per creare un flusso sonoro ininterrotto in cui lasciarsi trasportare e – perché no? – perdersi: questo è invece il primo album creato espressamente per suonare su di un vinile doppio. Le tracce, distribuite sui quattro lati, sono non numerate per scelta, affinché l’ascoltatore possa scegliere in maniera autonoma l’ordine dei pezzi e partecipare in modo attivo al processo d’ascolto. Pare che il disco sia stato registrato in presa diretta e con una post-produzione ridotta al minimo, il che si può agevolmente avvertire: Unfold si presenta come una strana creatura pulsante, il suono è più ruvido che mai, il piglio jazzistico sembra quasi disciolto in un primitivismo che vive di contrazioni e dilatazioni che si susseguono in rapida sequenza. Svetta il talento di Tony Buck alle percussioni, vero mattatore del disco, che più che suonare plasma il rumore, sferraglia, tintinna, picchietta, genera sibili. Gli altri due si spalleggiano amabilmente: Abrahams, forte del suo stile riconoscibilissimo, sfavillante come sempre, Swanton di contro plumbeo, riduce all’osso il proprio contributo, massimizzando la resa.

Unfold ha fatto storcere il naso a più di qualcuno. I tre riescono ad essere più sintetici, più a presa rapida se vogliamo; quella che è venuta un po’ meno è la componente, per così dire, catartica della musica del trio, quella vaghezza che ne faceva un percorso di meditazione. Forse non sarà all’altezza dello splendido predecessore né tanto meno dei dischi più conosciuti dei Necks, ma bisogna riconoscere qui al trio australiano il coraggio di perseverare infaticabilmente nella ricerca di soluzioni nuove, cosa che, non è affatto scontata per un gruppo con alle spalle quasi trent’anni di onorato servizio. Giù il cappello comunque.

Tracklist

01. Rise
02. Overhear
03. Blue Mountain
04. Timepiece