THE NECKS, Bleed
Ci sarà il giorno in cui vi diremo che The Necks hanno fatto un brutto disco, ma non è questo il giorno: anche stavolta infatti gli australiani hanno confezionato un lavoro – un ritorno alla traccia unica – per cui vale la pena aprire il portafogli o quantomeno i padiglioni auricolari. L’incipit rientra nella categoria del sublime: si sospenda ogni giudizio per le note iniziali suonate dal pianoforte di Chris Abrahams, è il suono che immagino debba avere l’universo nei primi secondi dopo l’estinzione del genere umano, è minimalismo ma lontano da quello storico, un concentrare la propria poetica all’essenza, ridurre all’osso la struttura musicale così da far risplendere la sostanza della materia sonora, fino quasi a cancellare l’impronta umana. Da una situazione di stasi solo apparente inizia la lenta danza di masse sonore che si mescolano in una mistura che è in principio placida e intrisa di luce, quindi si intorbida di dissonanze e finisce per decantare in melodia, come a voler concederci una carezza alla fine del viaggio.