THE FORESHADOWING + STILL WAVE, 10/1/2025

Roma, Wishlist. Foto di Mirko Luparelli.
Quando i finlandesi mi chiedono come siamo messi a metal in Italia, faccio sempre gli stessi nomi. Uno di questi è The Foreshadowing, band gothic doom romana attiva dal 2005, finalmente tornata sulle scene dopo quasi un decennio con un nuovo album, New Wave Order, uscito a metà novembre. Il mio primo incontro live con loro risale al 2013, lineup leggermente diversa e innamoramento-lampo, per quanto fossi già a conoscenza della loro discografia. È forse un po’ paradossale risiedere in Finlandia, dove il doom metal certamente non manca, e decidere di fare un blitz a Roma proprio per un concerto di quel tipo, ma certe band meritano ben più di uno sforzo.
Sono giunta al Wishlist venerdì 10 gennaio, con un colossale debito di sonno a causa del lungo scalo a Stoccolma, ma consapevole che tanta caffeina e la possibilità di rivedere dei vecchi amici mi avrebbero tenuto sveglia e pimpante.

Sapevo poco degli Still Wave, la band in apertura, ma l’ascolto del loro album di debutto è stato sufficiente per stimolare la mia curiosità. Quello al Wishlist è il loro quinto live dall’uscita del disco, ma sono veterani della scena locale, e si vede. Propongono un post-doom con tinte gothic-gaze. A colpirmi, dal vivo, è il sound compatto ma al contempo dinamico, l’ottima presenza scenica di tutti, e dei meravigliosi inserti in scream offerti di tanto in tanto dal bassista, capaci di aggiungere un tocco estremo a quell’insieme di atmosfere energiche e sognanti. Aprono con “Dead Ends”, dopo un breve intro strumentale. La voce del frontman, Valerio, mi ricorda quella di un Michael Stipe particolarmente ispirato, e da orfana disperata dei REM non posso che apprezzare. La sua interazione col pubblico è composta ma coinvolgente, e dopo “Near Distant” annuncia “Starwound” come terzo brano, che è anche un singolo con relativo video. Interpreta il materiale con notevole intensità, incita il pubblico battendo le mani a tempo, ottenendo una risposta coerente e gioiosa da chi sta sotto al palco. Gli scappa anche un “daje!”, giusto per ricordarci dove siamo, a riprova dell’atmosfera rilassata e amichevole che si respira, in un inusuale ma funzionante equilibrio con la carica emotiva tendenzialmente tragica della loro proposta musicale. “Ghost Of A Song” ricorda da vicino alcuni lavori dei Paradise Lost, complice anche un ineccepibile lavoro sulla batteria. Valerio crolla in ginocchio poco prima dell’assolo di chitarra, completamente assorbito in una dimensione parallela nella quale riesce a trascinare anche noi. Ringrazia i presenti e annuncia che stanno per suonare un’ultimo pezzo, affermando che il tempo vola quando ci si diverte e, per quanto si possa fare tanta ironia, io mi sto divertendo davvero. “Spaceman (With A Gun)” chiude il loro set. È un brano splendido che dal vivo acquista maggiore profondità anche grazie all’interazione tra i componenti della band, aspetto che a mio avviso non va mai sottovalutato. Valerio presenta i suoi compagni di viaggio: “Daniele Carlo alla batteria, Manuel Palombi basso e scream, Luca Fois chitarre e astronavi”, e qui mi strappa una risata. Ha ragione, il tempo vola quando ci si diverte.

La mezz’ora di cambio palco passa velocemente, scambio due chiacchiere con amici di vecchia data, bevo una birra che trovo sorprendentemente economica, ed ecco che i The Foreshadowing prendono possesso del palco. È sempre un’emozione, e vederli nella loro città amplifica il tutto. Dopo un breve intro strumentale, su cui sento quelli che poi mi dicono essere dei monologhi tratti da “True Detective”, e qualche piccolo problema tecnico, riprendono in mano la situazione e, sulle note di “Vox Populi”, danno il via alla loro esibizione. È sempre un’ottima mossa aprire un concerto con la prima traccia di un disco, in questo caso del loro nuovo album. Il pubblico urla all’arrivo di Marco, il cantante, che prende il suo posto al microfono con l’eleganza che lo contraddistingue. Questa volta hanno anche un bassista, Michele, che suonava con loro fino a qualche anno fa. Lo spazio di manovra sul palco non è molto, essendo una formazione a sei, ma li vedo abbastanza a loro agio. Francesco, tastierista, e Gabriele (già negli Shores Of Null) alla chitarra, si occupano dei cori egregiamente, devo dire.
Marco accenna un “buonasera”, segue “Judas Had A Friend”, secondo singolo tratto da “New Wave Order”. È sempre interessante osservare come il pubblico reagisce a canzoni più recenti, rispetto ad altre con cui magari si ha un legame consolidato, e sta anche alla band saper gestire la setlist in modo equilibrato e non banale. Sbircio il foglio ai piedi di Alessandro, chitarrista, rovinandomi un po’ la sorpresa, ma vedi che hanno agito con criterio, ripescando perle del passato senza togliere spazio al presente. Segue “The Forsaken Son”, che risale a poco più di dieci anni fa, ed è ad oggi uno dei miei pezzi preferiti. Alessandro raggiunge Gabriele dall’altro lato del palco e si scambiano di posto per un po’, e ho la netta sensazione che si stiano godendo il momento almeno quanto noi. Alla fine Marco si rivolge al pubblico: “grazie mille e benvenuti. È bello avervi qui ed è bello essere qui. Stasera celebriamo con voi l’uscita del nostro ultimo album, New Wave Order”. Usa la metafora del viaggio per descrivere la setlist, data la presenza di brani vecchi e brani nuovi, metafora azzeccata per quanto, generalmente, abusata. Annuncia “Our Nightmares Call” che, ammetto, mi ha colpito molto fin dal primo ascolto. Sull’intro battiamo le mani a tempo, seguendo il batterista, Giuseppe, sempre pronto a coinvolgere il pubblico. Il picco di intensità arriva, prevedibilmente, col frammento del “Dies Irae” contenuto in questo pezzo, ma qui di realmente prevedibile c’è ben poco: l’impatto che questa band riesce ad avere in sede live va sempre oltre le mie aspettative.
Segue “Lobbies”, primo singolo estratto dal disco appena uscito, il cui distintivo sapore anni Ottanta fa breccia anche sui più scettici, ed è sempre bello vedere quando una buona porzione di pubblico conosce già a memoria i testi nuovi. Si ripresentano dei problemi tecnici che richiedono qualche minuto di pausa, ma per fortuna Marco ci intrattiene con quattro chiacchiere, approfittando della situazione per presentarci la band a dovere: Alessandro, detto “il coach”, e Gabriele, detto “Gabbo” alle chitarre, Francesco Sosto alle tastiere, Giuseppe Orlando alla batteria e Michele Attolino al basso, qui definito “una guest star”. A ogni nome annunciato seguono applausi e manifestazioni di chiaro entusiasmo, in barba a qualsiasi stereotipo su chi predilige certi sottogeneri poco allegri. Il clima è amichevole, e seppur in questo frangente specifico si sia un po’ rotta quella magia creata dalla loro musica, apprezzo la capacità di gestire un imprevisto in modo sereno. Un siparietto particolarmente simpatico riguarda una ragazza, che poi ho scoperto essere di origine iraniana, che si è avvicinata per chiedere qualcosa a Marco. Gli ha chiesto di suonare “Colonies”, che purtroppo non era in scaletta. Inizialmente, complice forse la barriera linguistica, Marco aveva capito “musica coloniale”: la cosa aveva confuso anche me, ma mi ha strappato un altro sorriso. Mentre alle sue spalle la band è ancora alle prese col problema tecnico, Marco cerca di farsi venire qualche altra idea per intrattenerci e afferma che avrebbe dovuto prepararsi un repertorio per l’evenienza. Fortunatamente pare che il problema sia risolto e si possa riprendere il viaggio nei meandri del doom del gruppo: “Second World” è la prossima canzone in lista, tratta dall’omonimo album del 2012, un brano che trasuda malinconia e che considero uno dei cavalli di battaglia dei ragazzi, sul quale noto con piacere che, soprattutto Alessandro e Francesco, sembrano vivere più serenamente il momento. Si torna al presente con “Bound For Ruin”, di cui mi colpisce il forte contrasto tra l’aspetto musicale (è piuttosto energico) e il messaggio trasmesso, decisamente apocalittico. Nell’insieme ho anche avuto l’impressione che questo fosse uno degli episodi che hanno più divertito i presenti, oltre a rappresentare un passo al di fuori dalla comfort zone dei Foreshadowing. Segue “Oionos”, dall’album omonimo, il secondo in carriera, generando un brusco cambio di atmosfera che però ci piace tanto. Le luci basse esaltano il tutto, creando un ancor maggiore senso di continuità tra la band e gli spettatori. Su “Lost Soldiers” ammetto di essermi emozionata più del previsto: sta nel penultimo album (del 2016) e ricordo ancora le sensazioni che mi ha dato al primissimo ascolto, e per qualche motivo sono qui, immutate, intatte, persino amplificate.
“Ground Zero” e “Hope” seguono a ruota, senza pause, scelta coraggiosa, poi Marco ringrazia nuovamente i presenti e annuncia un brano nuovo, “Eyes Of A Dawn”, sul quale sfoggia un cantato estremo al quale non ero più abituata. “Eyes Of A Dawn” è particolarmente cupo e strizza l’occhio alla scena gothic metal dei primi 2000, una coccola per noi “vecchi nostalgici”.
Siamo quasi alla fine. “Memento” è il penultimo in scaletta ed è tratto dall’ep “Forsaken Songs”, col quale la band ha rotto un lungo silenzio nel 2023. Non è la prima volta che lo sento eseguire dal vivo, ma devo ammettere che questa volta ha una marcia in più, complice anche l’atmosfera intima e totalmente dedicata a loro, come dimostra anche il pubblico, il cui affetto è palpabile. Marco segnala la presenza del fondatore della label spagnola su cui è stato pubblicato l’ep, David Ortiz, che si è mosso da Malaga per l’occasione, e lo ringrazia, visibilmente emozionato da cotanta dedizione. Segue un applauso collettivo, perché certi gesti non lasciano indifferenti.
La chiusura del concerto è affidata a “Eschaton”, dal primo album dei Foreshadowing, rimasto uno dei migliori nella loro carriera ormai “diciottenne”. Alla fine, Alessandro propone di fare un selfie, come dicono i giovani, con il pubblico sullo sfondo, per immortalare quel momento. Per ragioni logistiche viene richiesto l’aiuto di Marzia Troiani, fotografa professionista, che tra l’altro si è occupata degli scatti promozionali per New Wave Order. Giuseppe ci chiede di fare il gesto delle corna, e noi prontamente eseguiamo, perché non possiamo non dirci metallari. Lo scatto è visibile sui loro canali social, ed è stato bello ritrovarmici.
La metafora del viaggio ha funzionato, anche considerati gli intoppi. Nell’insieme mi ritrovo a chiedermi, di nuovo, come mai questi ragazzi non siano contesi dai festival di mezza Europa, ma sono fiduciosa. Oltre a includere alcuni dei musicisti più talentuosi della scena locale (e qui intendo “nazionale”, assumendomene piena responsabilità) i The Foreshadowing si sono sempre distinti grazie a una classe rara, sia in termini di composizione che di presenza sul palco. Mi auguro che raccolgano i frutti di questo alto livello qualitativo. Dal canto mio, penso ne sia valsa la pena di farmi tutti questi chilometri, dormire poco e sfidare il buon senso, che mi vorrebbe “parsimoniosa” all’inizio dell’anno. Il 2025 inizia col botto, e spero porti il meglio a questa incredibile band, che mi ha regalato una serata a dir poco memorabile.



















































