THE END OF SIX THOUSAND YEARS, Ep 2023
Tornati sulle scene dopo una decina d’anni, freschi dell’ingresso di Michele Basso (Viscera///, Formalist) e Gianmaria Mustillo (Hierophant, Carnero, Abaton) alle chitarre, gli End Of Six Thousand Years propongono un ep di quattro pezzi – tre inediti e una cover – che spero sinceramente venga presto seguito da un’uscita più consistente. Proprio come un certo tipo di fingerfood (direi “stuzzichini”, ma qui si vuole mettere in evidenza l’indiscutibile raffinatezza della loro proposta musicale), questo ep stimola l’appetito e, per quanto dia un’idea precisa di cosa la band sia in grado di fare, lascia l’ascoltatore con un consistente buco nello stomaco. Un buco esistenziale, potrei dire, se prendiamo anche in considerazione le tematiche trattate, poiché da “Collider” in apertura alla cover di “The Man Who Loves To Hurt Himself” dei Today Is The Day (per chi non ci legge: storica formazione statunitense dedita a un poderoso mix di noise rock, grindcore e post metal), si assiste a una vera e propria celebrazione del mal di vivere in diverse forme, dove un sapiente miscuglio di sottogeneri più estremi si fonde con elementi dark, punk e post-rock. Ciò che sorprende è la capacità del gruppo di conciliare tutti questi stili e stimoli in un flusso coerente, grazie anche al cantato furioso e cupo di Nicola Donà, che si è occupato della stesura dei testi, squisitamente disperati e oltremodo cinici, come si addice a un simile contesto.
L’intento pare essere lasciare l’ascoltatore disorientato, smarrito in un intricato susseguirsi di sensazioni negative, dove l’ottima intesa delle due chitarre, assieme a un basso prepotente e a una batteria impetuosa, dipinge scenari apocalittici in cui un senso di paura prende il sopravvento. Cambi di ritmica si susseguono con naturalezza: “Endbearer” in tal senso è un brano che andrebbe preso come esempio di come si scrive un pezzo efficace senza risultare prolissi o ridondanti, per questo mi preme anche sottolineare che il songwriting è uno dei punti forti di questo piccolo gioiello uscito da qualche ora. Il riffing ricorda quanto basta le produzioni più significative del black metal norvegese dei primi anni Novanta, ma senza quel fastidioso retrogusto di plagio a cui ci stiamo purtroppo abituando. “Voidwalker”, terzo brano inedito di questo ep, spicca indubbiamente per originalità dell’arrangiamento, e apre la strada alla cover conclusiva, sufficientemente vicina all’originale ma decisamente personalizzata, non una mera esecuzione, ma un’occasione ben sfruttata per reinterpretare degnamente il brano.
Penso che gli ep siano un’arma a doppio taglio, perché danno un’idea di ciò che una band può offrire (in questo caso, dopo anni di silenzio e un significativo cambio di formazione, è un vero e proprio nuovo inizio), ma al contempo, contemplando un numero molto limitato di brani, non “soddisfano”. Lo si prenda come un complimento e un esplicito sprono: abbiamo ancora fame. Non fateci aspettare altri dieci anni.