THE DHARMA CHAIN, Nowhere

Preparato all’interno di una chiesa sconsacrata nel Queensland australiano per poi essere rifinito a Berlino, Somewhere è l’esordio dei The Dharma Chain, quintetto di Byron Bay che sembra avere le carte a posto per far breccia nel cuore di chi cerca una via popolare e orecchiabile alla psichedelia ed al viaggio.

Non abbiamo particolari informazioni sulla band, di certo i vocalist che si alternano al microfono sono di entrambi i sessi e gli unici nomi che siamo riusciti a scovare sono quelli di Jarra Grig e di Bronte Perkinson, oltre a quello della tastierista Emily Lawlor (la berlinese Anomic Records, marchio che produce l’album, ci avvisa che la line up attuale ha visto l’uscita di scena di Bronte ed Emily, con la presenza dietro gli strumenti di Jarra, Amanda, Ben, Aidan & Giulia, chi vivrà vedrà).

Comunque sia il suono che esce dalle cuffie è rutilante e prende vita da chiari padri putativi, ma riesce a risuonare coinvolgente e personale. Psych-rock che lambisce il deserto, talvolta, ma che è in grado di ritornare alla NY degli anni ’60 così come all’Europa più scorbutica. Nulla di nuovo soprattutto pensando a quanti, dall’Australia, fecero la medesima strada, ma a risaltare è l’onestà con la quale il quintetto riesca a suonare puro e personale. La scaletta si tinge di chiaroscuri suadenti che ci riportano in scantinati e club di second’ordine. Aperture acustiche in punta di dita come nell’alba di “Her Head” danno credito all’idea dei Dharma Chain come progetto in grado di spingersi su vari fronti, in bilico fra ispirazioni plurime e trasudando suono e la giusta quantità di droga. Hanno il giusto tiro, lo stile e la capacità di evitare cadute lungo il corso dell’album, lasciandoci in un mare caracollante dove le chiazze alcoliche hanno preso il posto dell’olio per creare la giusta bonaccia. Il basso e la batteria di “Riders” aggiungono un ulteriore tocco di oscurità western alla lista, trasportandoci in una sorta di vuoto pneumatico perfetto per far librare la voce di Jarra. Poi una “Clockwork” che ci porta ancora altrove, suggestioni fra Oriente ed Africa, la voce come mezzo sciamanico e un suono come tappeto volante. “Somewhere”, volando, la trielina come carburante e la leggerezza fra le corde, l’ultima “When We Disappear” a mettere il punto ad un Nowhere che, nonostante il titolo indefinito sa benissimo dove andare a parare.

In quel punto dove il rock’n’roll incontra la psichedelia, la luce ci si para davanti agli occhi e non sappiamo se sia il divino, un treno o solo un’altra canzone a colpirci il cuore. Proprio lì.