The Blokes, molti fatti e poche chiacchiere
Quattro volti noti della scena punk romana di sono uniti insieme per tributare il loro enorme amore per la scena punk rock/Oi! inglese degli anni Settanta e Ottanta. Questa in breve la storia dei Blokes, una storia fatta di pochi proclami e di molta passione e sudore proprio come si confà a chi è più abituato a fare che a dire. Abbiamo raggiunto alcuni di loro per farci presentare la band. Questo quanto ci hanno raccontato Stefano, Mauro e Simone.
Ciao, prima di tutto, presentateci la band, chi ne fa parte e da quanto tempo suonate insieme?
Ciao Michele, i Blokes sono una band romana composta da Gianni (voce e chitarra), Stefano (chitarra e cori), Mauro (batteria) e Simone (basso e cori). Ci siamo formati nel 2019.
Siete tutti volti noti con una storia alle spalle, quale è stata la scintilla che ha fatto nascere la voglia di suonare insieme?
All’inizio semplicemente l’idea è stata quella di tirar su un nuovo gruppo che strizzasse l’occhio a quel passato grazie al quale abbiamo iniziato a innamorarci di un certo stile, di una certa attitudine. Abbiamo capito che non sarebbe stato difficile farlo, perché certe cose ti accompagnano sempre e avendo dentro la stessa passione tutto il resto sarebbe venuto poi da sé. Tra alcuni di noi c’era una conoscenza superficiale che si è consolidata col passare del tempo, siamo sempre stati in buoni rapporti, ci siamo sempre confrontati su vari argomenti con rispetto e collaborazione, pur mantenendo ognuno la propria individualità. Questo ci tiene legati e andremo avanti così fino a che ci sarà possibile.
Il vostro suono ha le radici salde nella vecchia scena oi!/street punk, da cosa nasce questo amore e quali i nomi cui vi sentite più legati?
Questo è un amore che nasce tanti anni fa, che da subito è diventato ragione di vita, che non è mai finito. Nasce dall’ascolto di quella cassetta rimediata chissà come… da quel disco che ti è capitato in mano dentro a quel negozio pieno di cose di cui ignoravi l’esistenza… da quella persona un po’ diversa da tante altre nella quale hai riconosciuto un tuo simile… nasce dalla vita quotidiana vissuta con la consapevolezza che tutto ciò fosse un’alternativa, l’unica possibile al grigiore propostoci dalla società in cui siamo cresciuti e in cui viviamo. Si può dire che alla fine i Blokes non fanno altro che alimentare questo amore, alimentando lui ci sosteniamo anche noi. Parlando di ascolti ovviamente ci fomentiamo parecchio col classico filone punk rock/Oi! inglese di fine anni ’70 inizio ’80, con gruppi come Blitz, Angelic Upstarts, Cock Sparrer, Business, Cockney Rejects e compagnia bella (ce n’era parecchia all’epoca). C’è da dire poi che ognuno ha i suoi ascolti (e ha suonato le sue cose negli anni con altri gruppi) che spaziano anche in altri generi, la maggior parte comunque nati e sviluppatesi all’interno della grande “famiglia” del punk.
Tra l’altro nel disco avete voluto alcuni amici al vostro fianco, vi va di raccontarci come sono nate queste collaborazioni?
Ci sono alcune collaborazioni con persone a noi vicine sia per la mentalità che per musica. Per quanto riguarda Damiano, è una figura che ci accompagna da una vita ormai, ci conosciamo bene ed è in questa avventura la persona che si è preso carico di produrre il disco. Il fatto di averlo ascoltato poi all’epoca cantare con i Dead End Street ha reso più facile il chiedergli di cantare in una nostra canzone, sapevamo di andare sul sicuro… Parlando invece di Greg, due dei gruppi contemporanei che apprezziamo di più sono i Bishops Green e gli Alternate Action, che nel novembre del 2017 siamo riusciti ad ospitare a Roma. Da lì è nata un’amicizia, in più visto che come band abbiamo preso spunto anche da loro, abbiamo chiesto a Greg il featuring ed ha accettato. Stesso discorso vale anche per Ivo degli High Society (anche il loro Fear Of Freedom è un disco parecchio apprezzato da queste parti).
Molti affermano che ormai si è perso il senso di appartenenza e che tutto è più improntato all’egoismo e al tornaconto personale eppure vedo proliferare collaborazioni, amicizie tra band e via dicendo. Dove sta la verità? Quale è la vostra percezione come band e come singoli?
Dipende sempre da chi lo afferma, c’è chi si trova più a suo agio unicamente nel giudicare l’operato degli altri e chi invece fa le cose in silenzio senza i riflettori puntati e mandando avanti tante belle situazioni. Chi ha voglia di fare si mette in gioco in prima persona, non ha sicuramente da perdere, semmai da guadagnare. Ciò che unisce tante persone all’interno di questo ambiente è un legame assolutamente non riconducibile al denaro, non catalogabile perché vario, diverso, unico, tra tante realtà esistenti. Ognuno coi propri spazi conquistati, con il suo modo di agire, con la sua mentalità. A volte però è mancata quella comunicazione che crediamo sia fondamentale, i rapporti umani non durano a lungo da soli, ci vuole sempre un certo tipo di impegno per far sì che si mantengano nel tempo, la musica da sola non ci “salva”. La collaborazione è tutto, qui non ci sono né vinti né vincitori, né dogmi o restrizioni. O almeno, ci piacerebbe che davvero fosse così.
Molte band preferiscono utilizzare l’italiano per i testi, c’è un motivo per cui voi avete deciso di usare l’inglese o è semplicemente una questione di fedeltà alla tradizione?
Abbiamo fatto questa scelta anche per rimanere fedeli a quel tipo di sonorità che vorremmo riprendere e rifare nostro. Inevitabilmente scrivere in italiano avrebbe dato un’impronta totalmente diversa al tutto, però pensiamo che cosi magari ciò che vuoi dire arriva anche a più persone.
A proposito di tradizione, certi suoni sono da sempre legati alla classe lavoratrice e alle sue istanze, lotte e purtroppo sconfitte. Vi riconoscete anche voi in questa visione?
Anche se in diversi settori e con diverse storie alle spalle siamo tutti lavoratori, sappiamo cosa significa sporcarsi le mani, tornare stanchi a casa magari con qualche “mal di pancia” in più la sera. Siamo quattro persone che lavorano e che sono accomunate dalla stessa passione, trasmessa poi in musica. Quattro persone che sanno immedesimarsi nelle problematiche reali che molte persone soffrono nella loro quotidianità a causa di quello che tante volte, se non quasi sempre, appare di più come un essere ricattati piuttosto che come un lavorare per potersi permettere varie cose nella vita ed avere un’esistenza dignitosa.
Un termine che torna spesso è strada: cosa rappresenta per voi e come vivete questa epoca così distante proprio dalla strada tra social e ora anche la pandemia? Insomma, cosa rischiano di perdersi le nuove generazioni rispetto alla nostra adolescenza?
La strada ha rappresentato un luogo di crescita, di scontro e confronto, un luogo dove vieni a contatto con la realtà nuda e cruda nel bene e nel male, dove i colpi si danno e si prendono, in senso metaforico e non, dove capisci come relazionarti con gli altri, questo sempre nel bene e nel male, dove puoi perderti ma anche imparare a non farlo.
Quando ti ritrovi per strada con la tua compagnia ci passi del tempo, condividi degli spazi all’interno della tua città, a volte li recuperi, le cose sono vere e accadono per davvero, e possono essere più o meno piacevoli. È un luogo dove riconoscersi con altri e altre, dove puoi viverti insieme ciò per cui ti senti diverso da molte dinamiche che ti circondano. I social network, se da una parte hanno facilitato molto l’organizzazione e sponsorizzazione di concerti, iniziative ed eventi vari, la conoscenza stessa delle varie band sparse per il pianeta, non ultimo di vari collettivi e organizzazioni, d’altra parte però hanno smorzato ciò di cui si è detto sopra, hanno smorzato l’impatto, l’immediatezza della comunicazione, la spontaneità e in qualche modo l’aggregazione. Questo pensiamo che si perdono le nuove generazioni. Non è sicuramente la strada il centro di tutto, ma nelle nostre vite ha rappresentato lo sviluppo di molto di ciò che poi siamo diventati e siamo ancora oggi. Due di noi poi sono padri, e come può non andare il pensiero alle nostre esperienze passate e a quelle che aspettano una generazione nata con la realtà virtuale nel palmo di una mano? Ci ripensi in prima persona e ti auguri che a tuo figlio (o figlia) non gli capitino mai alcuni episodi che magari abbiamo vissuto in altri tempi, che cresca meglio di te da un certo punto di vista, che riesca a spingersi il più oltre possibile coltivando interessi sani e in cui anche la figura del genitore deve essergli di supporto nel percorrere quella che sarà la sua via. Per ultimo, anche questa pandemia ha inferto un duro colpo alla loro socializzazione, questo è poco ma sicuro. L’adolescenza non è fatta per passare intere giornate all’interno delle mura domestiche e questo per chi le ha, tra l’altro. Pensiamo a quante famiglie sfortunate alloggiano in situazioni disagiate e vivono storie parecchio pesanti per i più svariati motivi, pensiamo a cosa si sono vissute e si stanno ancora vivendo.
Dopo un periodo lunghissimo senza live sembra che finalmente si apra qualche spiraglio, avete già date in programma?
Si, ci sono, finalmente si riparte. Il 19 Marzo presentiamo il disco a Roma, il 27 saremo a Bologna e il 7 Maggio a Siena, e speriamo di incontrare più gente possibile e di passare bei momenti.
Grazie Michele per l’intervista, grazie a chi ci leggerà e ci supporterà.
Questo un nostro piccolo “assaggio”: