THE BLACK BOX THEORY, S/t
La teoria della scatola nera: abbiamo a che fare con dirottamenti, incidenti, deviazioni dalle noiose strade conosciute del galateo musicale? E imposto da chi poi, e in nome di cosa? Predispone già bene il titolo di questo lavoro in duo di Luca Perciballi (chitarra elettrica, live electronics, sampling) e Ivan Valentini (sax alto e soprano, live electronics e percussioni). Felicemente sospeso tra satori e furore, questo scrigno ruvido, sotterrato in profondità per raggiungere le quali ci si spacca le unghie e ci si sbucciano le ginocchia, sa offrire a chi abbia orecchie assetate panorami, bugie, confessioni, precipizi, migrazioni, vertigini, in un continuo gioco di specchi nel quale ci si perde senza timore. Perciballi ha lavorato come assistente di Butch Morris ed è stato compositore residente per Tempo Reale nel 2017 e nel 2018; Valentini, tra gli altri, ha suonato con Henry Threadgill e Franco d’Andrea, oltre ad aver accompagnato, negli anni Novanta, Vinicio Capossela. Questo duo funziona semplicemente a meraviglia: spettri, ombre, nebbia, selve, spine, scogliere a picco sul niente, praterie in cui sparire, geyser, profili nella penombra, oblò di navi che affondano, navicelle spaziali inesorabilmente in rotta verso un grande buco nero. Musica rabdomante che sa assumere mille maschere diverse, mantenendo sempre e comunque un selvatico e lirico rigore che affascina e cattura. Un che di orientale, zen, anima questi dialoghi felicemente sospesi in una strana e (in)ospitale terra di mezzo tra noise, ambient malmostosa, improvvisazione libera, sgualciti manuali di jazz e trattati filosofici in versione elettroacustica. Il Black Box è un sistema che non svela le dinamiche interne che lo animano ma è descrivibile soltanto per il suo comportamento esterno: il dialogo tra i due musicisti ha in effetti un che di pre-alfabetico, di ancestrale, quasi fossero mossi da un’empatia intima, e i meandri della musica creata sul momento hanno questo di magico, che rendono fallimentare la pretesa di descrivere, di attribuire un’idea, una volontà, un progetto. Solo la pura e maestosa magnificenza di un suono libero e ispid , foriero di verità luminose e terribili, comunque intraducibili, che come Mercurio con le ali ai piedi si fa latore di messaggi da divinità che abbiamo dimenticato o è manifestazione plastica di una fertile febbre creativa che ha colto questi due musicisti in un punto alto della loro ispirazione (tutto il disco funziona davvero molto bene, ma “Formally In Tune”, con i suoi labirinti infiniti, tra Terry Riley, Steve Reich, l’orchestra of excited strings di Arnold Dreyblatt e ansie isolazioniste è semplicemente da brividi). Dieci esperimenti tra psicologia e fisica, accordature, test per l’udito, movimenti in camera anecoica, percezioni di ritmo ed armonia, architetture monumentali e fragilissime calibrate sull’instabile e perfetto equilibrio di corde che vibrano per simpatia e bacchette che dettano ritmi aritmici. Tutta la musica proviene da una sessione totalmente improvvisata, senza alcun editing successivo. Come dicono gli stessi musicisti all’interno del cd: è imbarazzante trovare tutte le parole necessarie a descrivere l’atto della creazione in bianco; forse potremmo dirvi di un approccio compositivo improntato alla flessibilità.