Thalassa presenta Ongapalooza: 10 anni di Boring Machines (31/3/2016; 1-2/4/2016)

Roma, Dal Verme. Grazie a Carlo Cimmino per le foto.

Quella del 2015 doveva essere in teoria la terza e ultima edizione del Thalassa, festival romano incentrato sull’italian occult psychedelia, un modo per inquadrare tutta una serie di band e artisti attivi oggi nel nostro Paese che ha trovato riscontro anche all’estero. Si dà il caso però che quest’anno cada il decennale di Boring Machines, etichetta la cui storia in parte si intreccia con quella del Thalassa, e di qui la decisione di organizzare una sorta di spin-off e ospitare nell’antro del Dal Verme la prima data dell’Ongapalooza, che si preannuncia come un festival itinerante, ironicamente ispirato a quello di Perry Farrell e a gloria imperitura di Onga/Boring Machines, missionario (in tutti i sensi) dell’underground italiano. Chi gliel’avrà fatto fare (glielo abbiamo anche chiesto)?

Sulla prima delle tre serate non possiamo dirvi molto, visto che non eravamo presenti: la line up prevedeva nell’ordine l’acidissimo synth punk degli Holiday Inn, unici ospiti della manifestazione a non aver (ancora) inciso per l’etichetta veneta, il drone-ambient di Fabio Orsi (da poco è uscita la sua raccolta di foto scattate in Russia, abbinata ad un nastro), la psichedelia ultracontaminata della Squadra Omega e uno degli ultimi arrivati in casa Boring Machines, il toscano Passed, con le sue sonorità arcane.

Adamennon + Altaj

La seconda giornata inizia “soffrendo” con Adamennon e Altaj. Se vi avevamo detto di come Turiya non si mettesse spontaneamente su un banco facile, il live è di spalle ma suona più versatile rispetto alle scelte sullo split. Ai loop ipnotici di Francesco alla chitarra si mescolano il drone fraterno e le ritmiche percussive di Adam. Su questo supporto strumentale si erge un teatrino oscuro che passa dalla favola macabra ambient a un racconto ossessivo da emicrania che martella la testa. Alla fine, contrariamente alle aspettative, si risale un po’ in superficie, ma in live così concentrati, pur diversificandosi rispetto a dischi che vanno a spron battuto per la propria strada, c’è sempre qualche sorpresa.

Father Murphy

I Father Murphy ci regalano poco più di mezz’ora di intensissima esibizione senza soluzione di continuità, in cui i consueti intarsi vocali vengono accompagnati stavolta da una musica basata principalmente su percussioni, sintetizzatori e l’archetto del Reverendo Murphy che sfrega con vigore le corde di un singolare strumento. Freddie suona anche la tromba, non apocalittica come uno si aspetterebbe, trasudante invece un che di malinconico, struggente nell’evocare ricordi di qualcosa ormai perduto per sempre. Il duo veneto ancora una volta riesce a sbigottire, dimostrandosi una macchina micidiale, ben oliata, capace di suscitare emozioni sempre diverse in chi ha assistito alle sue performance nel corso degli anni: sicuramente uno dei momenti più toccanti dell’intera rassegna.

Maurizio Abate si esibisce in un set acustico variegato e trascinante. Chitarra jumbo, delay e riverbero per creare la giusta profondità, loop station impiegata con garbo e parsimonia: questi gli ingredienti da lui utilizzati, che col suo fingerpicking passa da composizioni tra il folk e il blues ad altre più lunatiche ed eterodosse, tutte interessanti, tutte in grado di catturare l’attenzione del pubblico e di stuzzicarne il senso del ritmo. Le corde vengono pizzicate, a volte quasi percosse, trattate con delicatezza, ma molto più spesso con energia, alternando spagnolismi a suggestioni mutuate dall’amato John Fahey.

C’è da dire che fra i punti forti della rassegna c’è sicuramente un rispetto pressoché teutonico degli orari: l’ultima esibizione viene però ritardata di un’oretta a causa dei solerti controlli delle autorità sulla regolarità delle attività del circolo. All’una meno un quarto salgono sul palco gli Heroin In Tahiti. Avvolti dalla penombra, illuminati solo da una lampada da lettura e da una strobo viola, i due romani presentano quello che sembrerebbe materiale inedito, fondato sul consueto miscuglio fra il twang surfistico della chitarra di Valerio Mattioli e le sonorità spaziali di Francesco De Figueiredo; questa volta il tutto è caratterizzato da una particolare ferocia e da una prevalenza di beat ossessivi e suoni sintetici. Gli Heroin evidenziano ancora una volta la capacità di ispirarsi, senza sfociare mai nel manierismo, al Maestro Morricone e agli altri compositori protagonisti dell’età dell’oro del cinema italiano, estrapolando l’elemento lisergico ben nascosto fra le pieghe delle colonne sonore dell’epoca per restituirlo all’interno di un discorso che ha una sua indubbia originalità ed attualità.

La seconda serata è dedicata alle elettroniche più disparate, con vecchie conoscenze e per fortuna senza fastidiose cartelline sottobraccio.

Mai Mai Mai

Mai Mai Mai apre le danze (per poi tornare al management) con un live che predilige un impatto violento piuttosto che la ricerca di una scenografia sonora. Come sempre il mix di non-strumenti e rumorismi si integra perfettamente con lo svolgimento, la narrazione, ma qui si apre una battuta di caccia noise al buio, irrequieta e affannata. Su basi cupe e umide si accavallano scariche di tensione brutali e si aprono squarci ad alte frequenze, riepilogando Theta in chiave se possibile più industriale e grezza. Ma in sottofondo un filo di mare si sente ancora.

Everest Magma

Everest Magma si mette comodo, seduto di spalle al pubblico, con tutti i suoi giochi a portata di mano, quasi in isolamento personale rispetto alla situazione. Il live è un’altalena che da un lato fa emergere la ricchezza e la diversità degli strumenti che impastano e reimpastano input ribollenti sempre diversi, dall’altro un’omogeneità di toni, sequenze e volumi che genera un flow bello denso di sensazioni, senza rinunciare a una componente low-noise di fondo che scalda il tutto. Sarebbe stato meglio restare seduti, ma gli spazi non lo consentivano.

Quello dei Luminance Ratio è uno dei live più attesi: li avevamo visti anche tre anni fa, stesso posto, stesso bar. Al centro chitarre e tamburo di Aprile e Mauri, ai lati, a smussare gli spigoli, Ferraris e Sigurtà. Vario come l’asset dei quattro sul piccolo palco (ben stretti), il concerto spazia tra momenti dove emergono le estremità, con strati spessi di noise-ambient lisergico a volte sostenuto da un tamburo incalzante, e altri in cui è sospeso nell’aria, oltre a fasi di veloce kraut contaminato e poco incasellabile, in realtà,in questa stessa definizione. Se inizialmente può sembrare che i Luminance improvvisino, dopo pochissimo l’intensità del live cresce in modo esponenziale e complica il discorso, abbattendo qualunque catalogazione.

Luminance Ratio

La chiusura è affidata a Von Tesla, una delle primissime sicurezze (per noi, almeno) in casa Boring Machines. Siamo al buio e al caldo, ma iniziano una serie di esplosioni che minano la stabilità delle gambe. Siamo molto lontani dall’ultimo Farewell Is A Building e Giotto sembra davvero voler celebrare coi botti una fratellanza di lunga data. L’atmosfera è fredda e ansiogena, rotta da delle sterzate metalliche in un incalzare inaspettatamente violento, il sapore è più industriale del solito. Il ritmo non è placido e una serie di scosse forsennate e volumi che impennano mettono fine alla corsa, singolare e imprevedibile.

Corredata dalla mostra di Massimiliano Amati aka Re delle Aringhe (autore della serigrafia ufficiale del festival) e di Cristina Marguerita, qui uniti sotto il nome MoHo per descriverci paesaggi sonori e lunghe orografie, un’altra edizione del Thalassa si è conclusa. Di definizioni di Italian Occult Psychedelia ne abbiamo sentite tante e con questa tre giorni sembra che, ormai, ci si sia già mossi oltre. Ci auguriamo che si ripetano le condizioni psico-economico-logistiche per poterne godere ancora. Ringraziamo il DalVerme per essere un luogo-simbolo e per i suoi sbattimenti senza i quali nulla di tutto questo sarebbe possibile. C’era chi avrebbe preferito un “locale” più ampio, ma forse ha guardato troppe fiction su Rai Uno.

Tutti i live sono e saranno disponibili in video grazie a URSSS.com.