TĒTĒMA, Necroscape
Anthony Pateras mi ha regalato una delle interviste più belle da quando faccio il fanzinaro: profondo, intelligente, generoso, con un sacco di roba da insegnarti. Difficilmente parlerò male di quest’uomo, meglio essere onesti. I Tētēma sono lui (piano e synth), il mille volte suo collaboratore Erkki Veltheim (violino, mandolino), il batterista aumentato Will Guthrie e il nome gigante: Mike Patton, che pubblica questo Necroscape con la sua Ipecac. A tutti quest’album sembrerà la classica pattonata (fa il matto, è pretenzioso, attacca assieme cose che stavano separate per un motivo, adotta settecento registri vocali contemporaneamente, passa da estremismi “core” a “world music”), ma secondo me sarebbe sottovalutare il lavoro degli altri tre, tenendo conto poi del fatto che il compositore principale è Pateras. I suoni sono sorprendenti: diresti che ci sono chitarre in frangenti che di fatto sono grind, come ad esempio in “Cutlass Eye”, solo il primo caso in ordine temporale di accelerazioni smodate e improvvise (anche se poi a un certo punto te le aspetti ogni minuto), invece c’è sempre qualcos’altro al loro posto, finché non si arriva a “Soliloquy” dove il synth di Pateras e il violino di Veltheim seguono la corsa a testa bassa di Guthrie come se non avessero fatto altro nella vita. Questo spinge poi a sentirsi per bene il disco in cuffia e scoprire che quasi nulla è ciò che sembra e che tutto possiede sfumature personalissime: io non ho mai esperito nulla di simile a “Milked Out Million”, un pezzo molto atmosferico e scuro, per quanto sempre segnato dal sorriso beffardo del cantante. Un altro punto di forza sono i ritmi (e i poliritmi) imprendibili che caratterizzano un po’ tutto quanto (com’è torrida e irresistibile “Wait Till Mornin’”…), rendendolo paradossalmente omogeneo.
Un disco da ascoltare, che – ma non serve dirlo – merita una chance, a suo modo coerente e non rapsodico come i detrattori del Generale potrebbero pensare, anche se lui è sempre un po’ ingombrante.