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TESS PARKS, And Those Who Were Seen Dancing

Tess Parks, natia di Toronto ma residente a Londra, dopo l’esordio Blood Hot del 2013, di cui si era occupata la 359 di Alan McGee, è attesa al banco di prova col secondo album solista, in uscita per Fuzz Club in Europa e Oltreoceano per Hand Drawn Dracula. Parks frequenta tutti gli ambienti giusti del revival psichedelico britannico da una decina d’anni e, non a caso, ha pubblicato con Anton Newcombe prima I Declare Nothing nel 2015, poi un sequel nel 2018, con sopra semplicemente i loro nomi. Parks non ha attirato molti sguardi su di sé in questi anni, ma si è mossa con discrezione, dividendosi tra collaborazioni prestigiose e una manciata di 7” e singoli di folk-rock derivativo. Infatti si può tranquillamente sostenere che And Those Who Were Seen Dancing sia un disco vecchio di almeno trent’anni, nel senso che nessun limite tecnologico o artistico avrebbe impedito la realizzazione dell’album già a metà anni Ottanta, ipotizziamo nella California meridionale, dove militavano le formazioni del Paisley Underground. La grande ombra che ammanta il disco è proprio quella di Hope Sandoval, Kendra Smith, Opal, Mazzy Star e Rain Parade, fino a nomi più recenti come Psychic Ills, con tutto che Parks attinge anche da modelli europei come Catherine Ribeiro, Jane Birkin, Nico e Vashti Bunyan. Con un carico di santini così importanti, è fondamentale per Parks non sbagliare e i fumi che si alzano nell’iniziale “WOW”, fanno ben sperare per il resto del disco: una ballata per tastiere e mellotron fumosa e inquieta, che apre la strada ad esiti di rock decadente (“Suzy & Sally’s Eternal Return”, “Happy Birthday Forever”, “Saint Michael”), numeri folk (“We Are The Music Makers And The Dreamers Of Dream”, attenzione al titolo), trame blues 60’s con tanto di spoken-word politico (“Brexit At Tiffany’s”), soffici love songs gotiche (“Old Life”, “Good Morning Glory”), momenti di blues-rock ectoplasmatico stile Opal (“Do You Pray”, “I See Angels”).

Tess Parks centra in pieno il suo secondo disco, grazie a un notevole gusto per la melodia, a un songwriting originale e ad arrangiamenti mai scontati (soprattutto per quanto riguarda la sezione ritmica), rinverdendo una materia ormai classica, sempre a rischio scopiazzatura e banalità. Una prova molto matura: si spera di non dover aspettare altri nove anni per la terza.