Terraforma, 1-2-3/7/2016
Castellazzo di Bollate (MI), Villa Arconati.
Se chiudete gli occhi, riuscite a immaginare il lussureggiante ambiente naturale custodito all’interno di Villa Arconati, una delle più prestigiose residenze storiche della Lombardia, che per il terzo anno consecutivo diventa un autentico “giardino sonoro” in grado di incarnare i concetti di esplorazione e rigenerazione degli spazi da tempo elaborati dal Terraforma.
Day One
Ad aprire il festival è la pratica sciamanica di Charlemagne Palestine. Lo scenario è pronto: il pianoforte è allestito come fosse un piccolo bazar, con qualche foulard appeso qua e là e gli immancabili animali di pezza che vegliano su di lui come piccole muse ispiratrici. Il continuum risonante e monumentale diffuso dallo strumento del compositore newyorkese mi porta subito a stare stesa sul prato e a concentrarmi sulle note che man mano crescono d’intensità, creando qualcosa di inaudito.
Non mostrano alcun problema Rabih Beaini a.k.a. Morphosis e il documentarista francese Vincent Moon a mantenere l’atmosfera intima e cerimoniale instaurata precedentemente. La loro è una performance audio/video dal fascino esotico, totalmente concentrata sull’esplorazione di suoni tradizionali, che richiamano rituali dall’Etiopia al Perù e la trance dal Brasile all’Indonesia. Questo piacevole incontro mi sorprende, e sembrano sorpresi anche loro quando, alla fine della performance, si voltano a guardare il pubblico entusiasta accorso a vederli.
I concerti proseguono in sostanziale silenzio, ora è il turno di Biosphere: il suo è un set breve davanti ad un pubblico non troppo numeroso, ma concentratissimo (eccezion fatta per una coppia che per tutto il tempo amoreggia e ridacchia). Appagata dal live, ma non abbastanza “sazia”, mi avvio verso il food court, un’area di gradevole relax in cui ci si può rifocillare con ottime pietanze etniche combinate alla cucina locale.
Il groove acido ed erratico di Helena Hauff scandisce la discesa tra le ombre della notte nel bosco di Villa Arconati, costringendo il corpo a muoversi senza sosta. Ci siamo ormai allontanati da quella dimensione di raccoglimento che ha caratterizzato l’apertura del festival; noto adesso una maggiore euforia generale e un grande trasporto. La dj di Amburgo ci accompagna con delle oscure intersezioni sonore per un paio d’ore e in maniera impeccabile. Poco dopo, la prima serata del Terraforma culmina con la performance di Donato Dozzy. La sua techno energica e dritta raccoglie un’audience più vasta, spingendo i timpani al loro limite di sopportazione.
Day Two
Mappa alla mano, mi preparo a vivere il secondo giorno di Terraforma. Il sabato si inizia prestissimo, alle dieci del mattino, con Claudio Fabrianesi, nome storico della club culture romana, e Francesco Cavaliere che dà voce ad una narrazione favolosa divisa in due atti (Gancio Cielo 1 e Gancio Cielo 2), inframmezzata dalla sofisticata chill-out di Healing Force Project. La lecture pomeridiana tenuta da Donato Dozzy e Claudio Fabrianesi (gestita da Soundwall) si rivela poi un momento chiave del festival, non solo per gli interessanti argomenti toccati, ma anche per quel senso di esperienza comune.
Il programma del giorno è ricchissimo e nonostante la pioggia interrompa l’esibizione di Dynamo Dreesen, l’ordine della scaletta resta immutato: prima l’imprevedibile e massiccio set di Lee Gamble e a seguire i teutonici Atom & Tobias. La materia techno viene ecosì sviscerata ed esplorata a dovere.
Day Three
La domenica parte con le buonissime vibrazioni dei Tropic Disco Sound System e a seguire Beatrice Dillon conquista tutti con la sua seducente proposta techno-dub. I piedi iniziano a stancarsi, decido quindi di fare un giro di perlustrazione schivando i solchi di fango causati dal temporale estivo del giorno prima. Vedo facce nuove e altre che ho già memorizzato nei giorni appena trascorsi; facendo due chiacchiere, qualcuno mi rivela di aver dimenticato di mangiare… a volte capita che il caldo e l’aria festivaliera ti possano togliere l’appetito, soprattutto quando ti immergi così tanto da raggiungere uno stato psicofisico tale da non volere altro se non ballare e bere, bere e ancora bere.
Ci si avvia verso un tardo pomeriggio appiccicoso con il pioniere della scuola dub Adrian Sherwood (con sommo dispiacere mi son persa il talk pomeridiano da lui tenuto…), più tardi Paquita Gordon sembra riportare il sole col suo raggiante sorriso. Il pubblico si fa più selvaggio del solito e la voglia di muoversi raggiunge i massimi livelli. Distolgo un attimo lo sguardo dal palco e dalle persone che mi circondano e osservo per terra: le volute di fumo in orario diurno fanno tutto un altro effetto e il prato antistante al main-stage – a forza di essere furiosamente calpestato – è praticamente diventato un’enorme piattaforma di fango. Torno a guardare all’insù e mi rendo conto che l’esibizione della Gordon è energia pura nel momento in cui parte un coro unanime su “Everybody Loves The Sunshine” di Roy Ayers. La chiusura viene affidata al dub di matrice sperimentale del duo Primitive Art.
Nella penombra Feldermelder & Supermafia eseguono Erratic, una performance presentata dal club milanese BUKA. Nello spazio del labirinto i suoni elettrici si disperdono in un groviglio compositivo, mentre i led prendono vita a tempo di musica e la luce emanata si diffonde sul viso degli spettatori, creando un effetto suggestivo.
Mi inoltro per l’ultima volta nel tunnel formato da triangoli luminosi che mi accompagnano verso l’uscita del festival e penso che Terraforma in fin dei conti è un’esperienza speciale, difficilmente replicabile in un contesto urbano. Un piacevole viaggio condiviso di tre giorni attraverso suoni e atmosfere uniche.