TENEBRA, Moongazer
L’ep What We Do Is Sacred!, uscito una manciata di mesi fa per spezzare l’attesa del nuovo album, aveva saputo stuzzicare a dovere la nostra curiosità: appariva infatti evidente già dal brano “Cracked Path”, anteprima di Moongazer, come la band avesse saputo far tesoro del tempo trascorso per affinare la scrittura e concentrarsi sulla composizione di brani che non si limitassero a far da spot per la bravura dei musicisti coinvolti. L’ascolto del disco nella sua interezza dimostra la bontà della nostra intuizione: i nove pezzi offrono all’ascoltatore un viaggio tanto vintage nei suoi riferimenti settantiani quanto forte di una personalità che si dimostra assolutamente all’altezza della situazione. Quello che colpisce è proprio la presenza di canzoni che entrano in testa e si lasciano memorizzare al di là della indiscutibile tecnica contenuta, un aspetto che spesso viene sottovalutato in situazioni similari e che – soprattutto – va oltre la mera forma, in quanto legato più al feeling e alla passione che non allo studio della materia. Non va poi dimenticato il tocco apportato dalla voce di Silvia, con quel graffio tipico di cantanti quali Janis Joplin (mi scuso in anticipo per il riferimento scontato e poco “per intenditori”) che contribuisce ad aumentare la corposità di brani che hanno dalla loro già una forte componente materica: per spiegarmi meglio, è come quando si assapora un whiskey torbato e si sente quel retrogusto forte di terra che lo rende differente da qualsiasi altro. Qua e là, si avverte anche un che di “stonato” in grado di riposizionare le lancette in avanti, ma è un a attimo, perché tutto il disco è impregnato di altri umori ben più distanti nel tempo e che vanno dalla psichedelia al blues, dal soul al proto-metal con tanto robusto hard-rock a tenere insieme il tutto. Non bastasse la bravura dei quattro, ecco ad aiutarli un parterre di ospiti d’eccezione, a cominciare dalla punta straniera, quel Gary Lee Conner (Screaming Trees, ma serve precisarlo?) che offre la sua chitarra per l’assolo di “Moon Maiden”, ma non meno interessanti appaiono i contributi dei nazionali Giorgio Trombino (Assumption, Bottomless, Becerus, Sixcircles, Dolore…), sax in “Space Child”, Riccardo Frabetti (ex The Tunas, CHOW), cori in “Winds of Change”, e Bruno Germano (IoSonoUnCane, Arto e precedentemente Settlefish), mellotron e slide su “Dark And Distant Sky”, oltre che responsabile del missaggio del tutto. Insomma, di carne al fuoco dentro Moongazer ce n’è davvero moltissima e non ci sorprenderebbe vedere la band utilizzarlo come biglietto da visita per ottenere un posto nel bill di qualche Roadburn o Desert Fest che dir si voglia, del resto l’impressione è che se fossimo stati all’estero avrebbero già indossato la maglia della big league. Vedremo se ci abbiamo preso, per ora le promesse sono state mantenute e la nuova sfida lanciata.