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TAYLOR DEUPREE, Sti.ll

Tradurre un tassello fondamentale del movimento glitch in una sinfonia totalmente strumentale. L’intento di per sé appare un azzardo, anche se a proporre l’esperimento è lo stesso autore dell’opera. Eppure sappiamo bene quanto sia visionario Taylor Deupree e l’idea di affidare integralmente all’esecuzione dell’uomo il suo seminale Stil. lo tentava da anni. Per portarla a compimento il patron della 12k chiama in causa Joseph Branciforte – già autore di un esperimento similare in collaborazione con Kenneth Kirschner – che non nasconde i suoi dubbi al punto da riservarsi la possibilità di potersi eventualmente defilare nel caso il risultato non si rivelasse convincente. La sfida è di riproporre in acustico e senza utilizzo di loop, la costruzione e le logiche compositive di un itinerario imperniato sulla ripetizione e sulla variazione minima concepito e creato digitalmente.

Con queste premesse a partire dal 2022 i due iniziano a lavorare su ciò che diventerà Sti.ll, avvalendosi del fondamentale contributo di un ensemble virtuoso capace di districarsi tra tecniche tradizionali ed estese. Un processo lungo, iniziato dalla trascrizione delle tracce utilizzando il master del disco, unica fonte disponibile, e proseguito riscrivendo il tutto per ciascuno strumento coinvolto. Il risultato è una rilettura scrupolosa che a partire dall’originale ne ridefinisce in altra forma la sottile complessità ritmica dovuta agli slittamenti e alle sfocature, puntando su un rigore esecutivo che accoglie l’imperfezione del riverbero acustico per sostituirla all’interferenza elettronica. L’effetto è straniante, le tracce aderiscono a quelle originali trovando una diversa profondità e un calore avvolgente.

Le reiterazioni algide di “Snow/Sand” scandite da inceppamenti e filigrana ruvida si trasformano in risacca morbida inondata di luce abbagliante nell’interpretazione di clarinetto, vibrafono, violoncello e percussioni, così come l’essenzialità crepitante di “Temper” trova un virtuoso corrispettivo nella stratificazione delle linee di clarinetto di Madison Greenstone, capace di riprodurne l’ampio ventaglio di risonanze in un trionfo post-classico di immenso fascino. Tutto funziona al meglio sia quando la trasposizione esige un maggior numero di voci (“Recur”), sia quando si rivela sufficiente una trama densa ed essenziale a restituire il penetrante dispiegarsi di una tessitura drone ottundente (“Stil.”). Un iter lungo e accidentato confluito in risultanze notevoli che senza snaturare l’anima di una produzione eccellente ne amplifica il portato rivitalizzandola con una veste nuova quanto autentica. Una scommessa ampiamente vinta.