TAURUS, No/Thing
Ashley Spungin (Purple Rhinestone Eagle ) e Stevie Floyd (Dark Castle, Aerial Ruin) si sono unite per dar vita a un progetto dal forte potere evocativo, a cominciare dalle grafiche tinte di rosso e dalle foto che vedono le due musiciste inginocchiate e parzialmente celate da un velo (a richiamare l’immagine del retro-copertina, realizzata dalla stessa Floyd). Così, anche la scelta di produrre il vinile con varie combinazioni di packaging differenti, a partire da confezioni curate a mano e numerate, palesa l’importanza che il duo attribuisce a ogni aspetto di Taurus, un viaggio onirico e astratto attraverso sonorità cupe e sperimentali, che non disdegnano l’utilizzo di chitarre distorte e percussioni ossessive in cui far affogare le vocals spesso recitate o urlate, in una sorta di percorso catartico. A comparire come guest alla voce troviamo Billy Anderson, che si è occupato anche di registrare il disco presso i Cloud City Studios, e Wrest (Leviathan), che non faticano ad inserire il loro contributo nei paesaggi disegnati dalle due officianti, permeati da umori avant, doom ed esoterici. Il tutto assume i tratti di un percorso iniziatico nei recessi dell’inconscio, spesso richiamando alla mente paesaggi surreali degni di un incubo in grado di confondere l’ascoltatore e metterne in discussione i punti di riferimento, tra riff sghembi tipici della chitarra di Floyd e drumming ossessivo, Hammond e synth, ukulele e campionamenti. Ogni sfumatura sonora e cambio di marcia, pur nel suo confondere le acque, non fa mai mancare un’impronta unitaria e un forte mood coeso alle cinque composizioni, che a fine corsa lasciano un ricordo disturbante e al contempo magnetico, quasi ci si risvegliasse da una seduta ipnotica. Il concept scelto per l’intero progetto, del resto, si presta a innumerevoli interpretazioni personali e a interagire in maniera differente col singolo fruitore, visto che va a toccare la ciclicità del cosmo in cui tutto ha avuto inizio dall’incontro tra particelle di pulviscolo incandescente e idrogeno e che prima o poi a quello stadio primordiale tornerà. Si potrebbe definirlo un inno alla caducità della stessa vita, intesa come parentesi temporanea all’interno di un percorso sempre instabile e mai terminato. Non male davvero per un progetto che ha come propria base il profilo Bandcamp e che vuole gestirsi in completa autonomia.