TANAKE, 4tet
4tet, il quarto disco dei Tanake, è stato registrato nel 2010 ma vede la luce solo ora: percorsi sotterranei e spesso difficili di quello che una volta si chiamava underground. Accompagnato a un progetto di fotografia, “Apologia del quotidiano”, di Gianluca Vassallo, recentemente oggetto di una mostra a Nuoro, il vinile è stampato in 100 copie numerate.
Al tempo, roberto Acciaro (chitarra, trombone e melodica), Maurizio Bosa (basso e contrabbasso), Martino Acciaro (batteria, percussioni) e Sergio Montemagno (tromba) per tre giorni si chiusero in studio dalle parti di Pisa, a improvvisare. L’intento, ammirevole, era quello di lanciarsi senza paracadute, di muoversi privi di bussola, navigando nell’oceano dell’imprevedibile, tentando un jazz disturbato e afasico (“Il Poeta Degli Angeli A Rotaia”) o osservando da vicino isole dove sono già sbarcati gli Starfuckers (“Il Mio Autismo Musicale Una Discreta Espressione Del Nulla”), muovendosi insomma in quella terra di nessuno tra free rock e improvvisazione, colma di fascino ma anche di pericoli. La prima traccia (“Rumori Di Noia”), con il suo fulmineo rotolare di massi è uno sputo percussivo, preludio allo spastico prototipo di This Heat intitolato “Sick Music Makes Healthy Dancers”: novantacinque secondi perfetti, acuminati e potenti nel loro delirare quasi funk. Poi le cose cominciano a farsi più diradate, sparse: l’attesa vaga (vana?) di “Il Mio Autismo Musicale Una Discreta Espressione Del Nulla”, dove un mood circospetto e interlocutorio gira attorno ad un’idea senza convincere in pieno; si alza la temperatura con “Samba Dell’Argia Per Serpica Naro”, ma resta una sensazione di irrisolto che lascia perplessi. Le tracce tendono a percorrere lo stesso sentiero, ispido e scontroso, inseguendo malmostosi e sfuggenti profili di un rock che fu e non potrà più essere; è musica di una deriva, quella dei Tanake, come degli Us Maple privi però di quella psicosi eroinomane che rendeva geniale la band di Todd Rittmann (se non li avete, recuperate assolutamente tutto quello che hanno inciso i Dead Rider, la sua nuova, magnifica creatura), come un gruppo su Skin Graft cresciuto a pane e improvvisazione afroamericana. Una deriva che a volte fa naufragare i Tanake, altre li porta lontano (gli enigmi concentrici della settima traccia). Sono segnali morse di chitarra, mareggiate di batteria, il basso radar e rabdomante, i fiati come ombre di voci umane a cercare uno squarcio di luce tra cumuli di nuvole cocciutamente nere. Capaci di mantiene la pioggia che promette (“Resonhemoltz”) e di aprire sul finale (“Ozio Ad Ostacoli”, fossi in loro seguirei una strada più astratta e meno fisica in futuro) a scenari ineffabili (ottimo l’uso della melodica, che aggiunge un quid di benvenuta psichiatria, come di musica dai margini) e anti-retorici. Un perfetto suicidio in nove mosse, un disco coraggioso, anche se non sempre riuscito; si narra che la risalita di Efesto dopo essere stato buttato giù dall’Olimpo da Era durò molte notti e molti giorni. Fortunatamente di creature brutte e deformi è ancora pieno il nostro pantheon. Disgraziati con grazia, spastici senza pathos, volutamente sbagliati, caduti e scaduti. La perfezione del resto non è altro che uno sbadiglio nel cielo della storia.