Syndrome: un’elegia tra la vita e la morte
Il potere della musica è quello di superare i limiti del linguaggio, comunicando – o creando – ciò che la parola non riesce ad esprimere. Questo sembra essere ancora più vero nel caso di Syndrome, progetto solista di Mathieu Vandekerckhove, già membro di Amenra, Kingdom, Sembler Deah e Caan.
Ciò che contraddistingue Syndrome è che qui Mathieu riesce a sperimentare e sperimentarsi, portando alla luce tematiche, problemi e pensieri personali in una modalità trascendentale ed evocativa, diversamente da quando il chitarrista belga si trova all’interno di una band e si produce in sonorità pesanti e furiose. Syndrome, infatti, caratterizzato da un uso massiccio di feedback e pedali che vanno a costruire un suono minimalistico, lento ed etereo, racconta in modo intimo e malinconico parti della vita dell’autore. Due dei momenti-chiave della sua discografia sono rappresentati da Now And Forever del 2012 e da Forever And A Day, uscito qualche settimana fa. Sono due episodi da considerare legati in modo stretto tra loro: il primo infatti è un dialogo tra padre e figlio che Mathieu dedica alla nascita del suo Wolf; il secondo è, invece, un dialogo tra un figlio e il padre.
La nascita di un figlio è sicuramente il momento più importante e delicato nella vita di un uomo, che lo porta inesorabilmente a scontarsi col significato della propria esistenza. In questa prima parte il sound appare molto dilatato, ripetitivo, dolce. Proprio come una ninna-nanna, Now And Forever sembra voler cullare l’ascoltatore. La voce di Mathieu viene sostenuta da quella di Colin H Van Eeckhout, cantante degli Amenra e amico da tutta una vita. Insieme prendono Wolf per mano, incoraggiandolo a trovare se stesso, a essere forte, ad aiutare gli altri, sottolineando come la figura del padre farà sempre parte della sua vita.
Una componente fondamentale risulta essere il video, creato da Tine Guns e Sander Vandenbroucke: basato sull’utilizzo di numerosi piani-sequenza in bianco e nero, rappresenta scene di vita e diverse location sfociando spesso in immagini che sembrano quelle di un sogno, sempre malinconiche ma, allo stesso tempo, piene di grazia nonostante il tema portante sia quello della solitudine. Gli spazi sono infatti vuoti o presentano un solo protagonista: una donna, un uomo, un bambino forse parte della stessa famiglia, forse parte della stessa visione; ciascuno interpreta un ruolo, un frammento di quella vita di luci ed ombre che Wolf è ora chiamato ad affrontare.
Con Forever And A Day, la prospettiva si ribalta. Anche in questo caso, il lavoro è composto da un unico brano, ma le sonorità, pur rimanendo ambient ed eteree, cambiano di dimensione: il suono sembra infatti più ancestrale, un richiamo alle proprie origini non solo attraverso il ricordo degli antenati, ma anche, come dicevamo, attraverso un discorso (che, in realtà, prende più i connotati di un soliloquio) con il proprio padre. Non è una caso che la copertina dell’album veda protagonista una scultura creata dal genitore di Mathieu all’epoca in cui lui stava venendo al mondo e che rappresenta un torso e una testa senza arti e senza occhi, a evidenziare una situazione di immobilismo, di costrizione, di buio. Un oggetto molto caro all’artista, che per tutta la vita l’ha visto al centro della propria abitazione e che per il quale ha un significato di lutto, di dolore.
Questo nuovo lavoro è quindi sì una continuazione del precedente, ma ne rappresenta anche la visione opposta: la morte, che si contrappone alla vita. Due fasi necessarie nel percorso di ogni uomo e che vengono metabolizzate e analizzate attraverso la musica.
La contrapposizione è evidente prendendo in considerazione, ancora una volta, la componente visuale, questa volta realizzata da Nicole Twister.
Tornano alcune immagini del primo video (la scogliera, il mare), ma questa volta il tutto è girato a colori e la protagonista è una donna che sembra emulare quella che è forse la morte più poetica di tutta la storia della letteratura, quella di Ofelia nell’Amleto di Shakespeare.
Il brano, come in una pièce teatrale, può essere suddiviso in tre pezzi distinti della durata ognuno di 10 minuti. La parte centrale vede Mathieu protagonista, in quello che sembra essere dapprima un silenzio assordante, che si trasformerà poi in un consolatorio sussurro “Are you afraid of your own darkness? (…) Don’t be afraid. You are safe now. Forever…”.
La voce lascia quindi spazio ad un percorso meditativo, sostenuto da melodie profonde e sottili di influenza ambient e post-rock e che, come un’onda, come quell’acqua che sembra essere tanto cara al musicista, ti avvolgono e ti stringono l’animo, in un’atmosfera di oscura e malinconica bellezza che è resa ancora più evocativa dal contributo di Dehn Sora. La stratificazione di suoni creati, il loro inesorabile ripetersi e amalgamarsi uno sull’altro, loop dopo loop, distorsione dopo distorsione, dà vita a qualcosa di puro, celestiale, immateriale. Qualcosa che sembra plasmare delle dita sottili che vanno a colpire direttamente lì, nel cuore.
Se quello che state cercando è un sottofondo emotivamente denso che vi porti strettamente a contatto con un artista e la sua anima, allora il lavoro di Syndrome vi lascerà con le lacrime agli occhi, le mani sul cuore e la testa piegata in segno di gratitudine nei confronti di chi, con così tanta sensibilità, è riuscito a farci diventare parte delle ombre e delle luci che avvolgono la sua esistenza.