SUNPOCRISY, Matteo Bonera

Sunpocrisy

Samaroid Dioramas dei Sunpocrisy colpisce sin dal primo approccio per la cura con cui la formazione ha saputo trattare ogni singolo aspetto del lavoro, dalle grafiche al packaging particolare, dalla scelta dei suoni a una scrittura che si sviluppa su più strati e non lascia nessun dettaglio al caso. Di questo e altro ancora abbiamo parlato con il chitarrista della band, Matteo Bonera, tra l’altro ideatore e autore dell’artwork. 

Raccontateci qualcosa dei Sunpocrisy: come vi siete incontrati, come è nata l’idea di suonare insieme…

Matteo Bonera: I Sunpocrisy sono nati qualche anno fa da Jonathan e Carlo, che hanno iniziato fin da subito a comporre pezzi di natura principalmente progressive metal. Dopo un breve periodo siamo entrati io e Gabriele (al basso) e nel 2008 siamo usciti con Atman Ep, un’autoproduzione di 100 copie diverse l’una dall’altra, con un packaging realizzato con radiografie umane originali e contenente quattro canzoni della durata complessiva di circa 37 minuti. Grazie all’ep siamo riusciti a farci conoscere e iniziare con i primi live, suonando con Ahab, In Mourning, Black Sun Aeon, The Ocean e altre band internazionali provenienti principalmente del panorama death metal. Nel frattempo abbiamo iniziato la stesura di quello che poi sarebbe diventato Samaroid Dioramas, che ha fatto crescere in noi il bisogno di avere una terza chitarra a supporto delle trame e un synth in sede live, soddisfatto rispettivamente con Marco (già bassista di Ekeskog) e Stefano (cantante dei White Widow). I Sunpocrisy nascono prima di tutto dall’amicizia che ci lega e dalla volontà di creare musica che non sia una parafrasi di generi già ampiamente esplorati o rivisitati.

Samaroid Dioramas si presenta sin dal titolo e dall’artwork come un lavoro ambizioso e ricco di sfaccettature. Si direbbe che la possibilità di leggerlo/ascoltarlo secondo differenti punti di vista sia il suo tratto caratterizzante. Vi va di parlarci di questo aspetto?

Mi fa molto piacere quando viene colta la stratificazione degli arrangiamenti di Samaroid Dioramas. La composizione dietro al disco è frutto di un percorso personale e sperimentale nella creazione di diverse trame intersecate nei pezzi, difficilmente riscontrabile nella composizione accademica, da cui prendo volentieri le distanze. Non ci sono mai piaciute le strutture canoniche dei pezzi e già nell’ep, ascoltando l’opener “Aeon’s Samsara”, è possibile intuire questo modo di scrivere più sfacciatamente progressive. Gli album che preferisco sono quelli che sanno donarti diverse sensazioni e scoperte nuove ad ogni ascolto. Con Samaroid Dioramas siamo riusciti a preservare questa caratteristica, peraltro intrinseca al concept in sé e al nostro modo di comporre.

Tutto, poi, appare come frutto di un lavoro meticoloso, di una cura maniacale per i singoli aspetti, senza lasciare nulla al caso. Quanto costa oggi mettere così tante energie/risorse in un album e che tipo di soddisfazioni si hanno dal portare a termine qualcosa di così complesso?

Questo debutto ha avuto tutti i vantaggi portati da un’autoproduzione e siamo molto fieri del risultato ottenuto. Non è certamente stata una passeggiata e questo percorso ha richiesto più di tre anni di lavoro sulla stesura dei brani, sugli arrangiamenti, sui testi e sull’artwork. C’è stata molta tensione produttiva per questo disco e, una volta deciso di entrare in sala di registrazione, ci siamo affidati a Riccardo Pasini dello Studio73 di Ravenna, che già aveva collaborato assieme a realtà italiane che ammiriamo: Ephel Duath, At The Soundawn, The Secret, Amia Venera Landscape e The End Of Six Thousand Years. Riccardo ha curato molto la produzione, rispettando il sound originale della band e prestando grande attenzione al mix e al master su bobina. Siamo molto soddisfatti perché tutte le energie e i sacrifici presenti in questo album sono stati ampiamente ripagati, dal primo ascolto del master al responso della critica.

Sunpocrisy

Se non sbaglio, la molteplicità dei livelli non è l’unico concept, visto che l’intero album ha anche un suo immaginario specifico, diciamo una sua visione che tocca vari aspetti dell’esistenza umana e della spiritualità. Vi va di parlarcene?

Il disco è un concept album che parla di un processo di divinazione dell’essere umano e delle strutture complesse dell’universo: scelta ambiziosa che ci ha portato a creare un immaginario specifico e basato in primo luogo sulla composizione delle musiche, invadendo poi il terreno dell’artwork e dei testi. Tutti questi aspetti della produzione sono strettamente correlati e si sorreggono vicendevolmente, riuscendo a donare all’insieme una completezza a mio modo di vedere unica, che pare essere riscontrata anche da critica e pubblico. Siamo molto contenti perché anche i testi (elemento ultimo che curiamo all’interno della nostra musica, contrariamente a quanto avviene nel panorama a cui facciamo riferimento) sono comunque in grado di generare dibattito e crediamo siano in grado di dare a Samaroid Dioramas continuità sotto un aspetto divulgativo/letterario. La musica vive nei testi e i testi nell’artwork quanto l’artwork nella musica, questa è la forza dell’album.

Da un punto di vista musicale i Sunpocrisy si dimostrano un crocevia di stili e linguaggi, tanto che non sembrate tirarvi indietro neanche dal confronto con elementi potenzialmente rischiosi almeno in certi lidi (penso ad esempio all’uso della melodia e delle clean vocals). Come riuscite a bilanciare tutti questi ingredienti senza perdere di vista l’emotività e il pathos dei brani?   

I brani riescono a toccare momenti di pace celestiali come attacchi violenti senza passare attraverso noiosi sproloqui in crescendo tipici del post-rock o altre volte semplicemente aiutati dallo stratificarsi di arrangiamenti e alternarsi di puliti e urlati della voce, chitarre via via sempre più intricate e la sezione ritmica in continuo incedere. Il pathos dei pezzi viene studiato come una linea che il brano deve essere in grado di muovere emotivamente verso l’alto e il basso, senza mai dissolversi e cercando di avere un diverso andamento rispetto alle altre canzoni che rappresentano il nostro storico. È forse in questa maniera che riusciamo a bilanciare tutti questi elementi senza mai risultare banali, mantenendo alta l’attenzione dell’ascoltatore e giocando con la sua tensione.

Da cosa nasce questa attitudine onnivora? Che tipo di background avete e cosa vi influenza a livello di ascolti (anche in via subliminale)?

Tutti siamo instancabili ascoltatori di musica e veniamo da background differenti per molti aspetti, motivo che forse ha permesso di incontrarci senza che avessimo in testa una meta predestinata per il gruppo. Fortunatamente ci sono punti in comune nei nostri ascolti, ma gli ascolti personali doppiano sicuramente gli ascolti comuni e non senza dissapori! Questo approccio trova sfogo a livello di influenze in un post-metal caratterizzato da una forte componente progressive, leit motiv del disco e delle ultime composizioni.

A proposito di altre realtà, nella recensione mi è venuto spontaneo parlare degli At The Soundawn e nel disco appare come guest Rubens degli Hungry Like Rakovitz. Quali altri nomi della scena italiana ritenete voi vicini come approccio e attitudine?

Siamo molto contenti della guest di Rubens nel disco che, venendo dal grind più spietato, sfata un po’ questo alone di mistero del disco, rivelando quell’ignoranza e quell’idiozia ci caratterizzano nella vita di tutti i giorni! Salutiamo gli Hungry Like Rakovitz e auguriamo loro tanto grime-core, sono appena tornati pure loro dalle ultime registrazioni allo Studio73, portandosi dietro la nostra cassa di chitarra! Troviamo sicuramente un sacco di punti in comune con i da te citati At The Soundawn e speriamo presto di condividere un palco insieme. Personalmente seguo buona parte dei gruppi italiani che presenziano all’interno della tua selezione per la compilation “From Italy With Love” di Cvlt Nation, una fotografia a largo fuoco di quello che sta succedendo qui in Italia. Dimenticherei sicuramente qualcuno se dovessi citare tutte le persone/band meritevoli che ho avuto modo di conoscere grazie ai concerti, ma direi che la playlist di quella compilation mi sembra un ottimo punto di partenza per osservare parte dei gruppi che riteniamo a noi vicini nell’attitudine.

Credete che sia possibile oggi ricevere la giusta attenzione con una proposta così ambiziosa, o negli ascoltatori continuano a prevalere pigrizia e scarsa curiosità?

Venendo dal basso siamo molto umili nella nostra proposta e riceviamo continue porte in faccia solo perché non siamo una band prodotta o appoggiata a qualche circuito specifico. Veniamo inoltre da una zona geografica difficile, dove non c’è fermento diversamente da altre province e regioni italiane. Internet ci ha concesso finora di poter valicare i confini, fuori dai quali riceviamo molto interesse, specialmente dagli Stati Uniti, dove c’è una pessima reputazione per la scena italiana, frutto prevalentemente delle grandi band nostrane sotto major che danno un’immagine distorta del fenomeno. La pigrizia italiana è famosa storicamente in aspetti che con la musica non hanno nulla a che vedere ed è facile pensare che con una proposta ambiziosa si faccia un buco nell’acqua, diversamente dal proporre un genere che, per quanto possa essere vicino ad una proposta più di nicchia, risulti convenzionabile all’interno di schemi ben definiti, motivo per il quale comunque non nego ci sia un fermento notato anche all’estero in un certo tipo di scena. Ci stiamo provando con il massimo delle nostre forze, ma la pigrizia della gente che muove poco il culo per i concerti è disarmante per il mio modo di concepire la musica.

Come va l’attività live? Che tipo di approccio preferite avere sul palco rispetto ai brani dell’album: fedeltà a oltranza o apertura a improvvisazione/rilettura?

Abbiamo dedicato un sacco di lavoro ai live, che, continuando il discorso di prima, risultano essere il vero momento di espressione delle band in un mercato discografico in declino. Nonostante i rifiuti che continuiamo a ricevere, siamo riusciti a fare qualche live nel Nord Italia riscuotendo grande successo, dovuto anche allo show che proponiamo con visual, strobo, smoke machine e quant’altro possa permetterci di dare continuità all’immaginario visivo del disco anche dal vivo. Per quanto riguarda l’esecuzione dei brani, abbiamo un approccio molto più violento per le parti distorte: cerchiamo di suonare al massimo volume possibile con le tre chitarre che pettinano in continuazione il pubblico, ma riusciamo ad essere comunque molto ligi, suonando i pezzi a metronomo e cercando di tenerci molto vicini al disco per tutto il resto.

Sunpocrisy

Sarei anche curioso di capire chi si avvicina alla vostra musica e da che ascolti proviene, visto che non sembrate rientrare in alcuna etichetta specifica.

Stiamo a tutti gli effetti cercando anche noi di capirlo. Premettendo che scriviamo musica per noi stessi e non “per piacere”, abbiamo abbandonato da tempo il darci dei confini per rientrare in certe etichette. Darsi dei limiti blocca le band da una parte, ma dall’altra consente alle stesse di colpire nel segno quando hanno bisogno di supporto e distribuzione, cosa che per noi avviene difficilmente. Quando troviamo il nostro disco in download sui vari blogspot, leggiamo frasi come “atmospheric / postmetal / sludge / djent(!) / metalcore / progressive / postrock” o cose del genere, e in un certo modo ci fa sempre piacere! Dopo il download, sentendo il disco, l’ascoltatore viene frequentemente rapito dal susseguirsi di cambi emozionali a prescindere dal suo background musicale e questo ci fa contenti nel nostro piccolo.

Con tutta probabilità sono gli inguaribili scaricatori di musica a venire a conoscenza dei Sunpocrisy, e non può che farci piacere perché sono i primi ad acquistare il disco, sia in versione digitale o fisica, trovandosi poi in mano un bell’oggetto.

Avete già qualche altra mossa in programma? Cosa succederà nei prossimi mesi?

Al momento stiamo cercando di suonare live il più possibile e stiamo facendo del nostro meglio per poter pubblicare la versione in doppio vinile in gatefold di Samaroid Dioramas, potendo sfruttare al massimo l’incredibile master del disco e dare spazio ai suoni. Stiamo continuando a lavorare su quintali di nuovo materiale e speriamo presto di poter selezionare al meglio le composizioni per un’ulteriore uscita. Nei prossimi giorni inizieremo a pubblicare su YouTube dei piccoli video track by track del making of di Samaroid Dioramas, giusto per i più curiosi!

A voi le ultime parole famose… 

Ti ringraziamo di averci dato voce tramite The New Noise e aver scritto del disco. Salutiamo e ringraziamo infinitamente chiunque ci scarica gratuitamente e ancora di più chi ci supporta ai concerti e chi “ci condivide” su forum/blog/social network.

Consigliamo di dare un ascolto al disco attraverso la nostra pagina Bandcamp:

sunpocrisy.bandcamp.com/album/samaroid-dioramas

e tenersi aggiornati sulla band più direttamente (concerti, making of…) tramite Facebook

www.facebook.com/sunpocrisy

Un saluto a tutti i lettori e alla redazione di The New Noise!

Sunpocrisy