SUNN O))), Life Metal
Quando esce un nuovo disco dei Sunn O))) si osserva una vera e propria spaccatura nei circoli di appassionati e addetti ai lavori, una dicotomia tra chi segue e apprezza la proposta della band e chi al contrario ritiene senza troppi complimenti che si sia finiti per reiterare ad libitum un più o meno interessante spunto iniziale, più con fini situazionisti che di reale ricerca sonora. C’è chi dice che le collaborazioni del duo (*) dimostrano come anche altri artisti abbiano saputo vedere la brace accesa sotto la cenere, ma c’è anche chi ribatte che solo queste hanno permesso al progetto di non incartarsi su sé stesso e non annodarsi attorno a un concetto di drone che alla fine ha radici ben più lontane e non può essere di certo fatto risalire a Stephen O’Malley e Greg Anderson. Personalmente, ritengo che il ricorrere a punti di vista differenti e a contributi esterni che forzino i loro limiti sia un pregio e non un difetto dei Sunn O))), anzi un’intuizione che li rende sempre diversi, aiutandoli ad esplorare le incredibili potenzialità di un’idea semplice come l’estensione esasperata dei suoni. Sia come sia, anche in questo caso la squadra è stata allargata e completata con alcuni nomi di cui vi abbiamo già riferito in passato, intervistandone persino un paio: Hildur Guðnadóttir (voce e violoncello), Tim Midyett (basso aluminium neck e chitarre baritone), Anthony Pateras (organo a canne), musicisti di cui non andiamo ad elencare collaborazioni e discografie per non dilungarci oltre.
Per completezza, dobbiamo riportare alcuni dati inerenti le fasi di composizione e registrazione che – pur se meramente tecnici – non possono essere tralasciati. Life Metal è stato concepito nello stesso luogo in cui la band ha iniziato il suo percorso, ovverosia ai Downtown Rehearsal di Los Angeles. Dopo questa fase c’è stata la pre-produzione presso i 606 Studios di Dave Grohl in California, in trio con T.O.S. (Tos Nieuwenhuizen, collaboratore di lungo corso) dietro al Moog, seguita da un mese agli Electrical Audio di Chicago con Steve Albini e dal mastering con Matt Colton agli Alchemy di Londra. Durante le stesse registrazioni è stato portato a termine anche un secondo disco, si dice più meditativo, che vedrà la luce a fine anno e si chiamerà Pyroclasts. La mano di Albini e l’esclusivo utilizzo di tecnologia analogica non hanno fatto altro che – opinione personale – sfoltire tutte le sovrastrutture accumulate fino a Monoliths & Dimensions del 2009, a oggi il disco più cinematografico e ambizioso della band, dal quale era partita poi in direzione inversa sin col successivo Kannon (2015), sempre parlando di materiale a firma esclusivamente Sunn O))). Così, Life Metal risulta un lavoro in grado di riportare a casa il sound per come era stato pensato e sviluppato da ØØVoid a quel Black One che per molti resta un apice. Obbiettivo raggiunto senz’ombra di dubbio, e con risultati positivi se non eccellenti, visto che Life Metal non solo è un album di assoluto valore, ma anche la conferma che non si ha a che fare con una mera boutade situazionista, bensì con qualcosa di consistente, con una propria ragion d’essere. Forse, calato l’hype e passato il momento in cui la band riempiva le copertine e le chiacchiere degli appassionati, è stato possibile per i due chiudersi in cantina senza pressioni e con una concentrazione maggiore, e di sicuro Albini ha aiutato a riabbracciare la filosofia del “less is more” (cosa che dovrebbe essere scontata, ma come dicevamo prima era forse stata messa un po’ troppo da parte): comunque sia andata, questo nuovo capitolo convince e non lascia con l’amaro in bocca. Unico dubbio sulla scelta di aprire proprio col pezzo che più stupisce e strappa l’applauso, merito soprattutto di una Hildur Guðnadóttir sugli scudi, laddove forse sarebbe stato opportuno lasciarlo come chicca finale, visto che si passa il resto dell’ascolto con quel retrogusto in bocca e si rischia di non cogliere appieno tutto il resto. Perché, di certo, Life Metal non è giocato su un paio di trovate come i detrattori sembrano pensare, ma ha una sua personalità ben precisa, cui ancora una volta i vari guest donano sfumature e profondità. Da ascoltatore della prima ora, parzialmente deluso dalla ricchezza di Monoliths & Dimensions e (ammetto) poco interessato ai dischi a più mani, non posso che accoglierlo come un ritorno a ciò che ho amato e di cui da un po’ provavo nostalgia. Bentornati.
*: senza scrivere una lista completa, Csihar, Cope, Ambarchi, Marhaug, Preston, il remix dei Nurse With Wound, o ancora gli album in coppia con Boris, Ulver e persino Scott Walker.