Suddenly di Caribou e Cenizas di Nicolas Jaar
L’intimismo, per quanto sopra le righe, che caratterizza un paio di dischi elettronici recenti di due grandi firme, applicato per giunta ai disorientanti tempi attuali, ci ha spinto a un atipico doppio recupero. Suddenly di Caribou e Cenizas di Nicolas Jaar, due fra i produttori più celebrati degli ultimi anni, hanno a ben vedere molto in comune e moltissimo a distinguerli, tanto da renderli quasi speculari. I loro artwork, peraltro, parlano chiaro: da una parte Caribou suona leggero e rinfrescante, dall’altra Jaar – che quest’anno ha pubblicato anche il secondo volume targato Against All Logic, alter ergo orientato alla pista, inferiore in verità rispetto al suo predecessore – suona decisamente cupo e claustrofobico.
Dopo il policromo Our Love del 2014, un inno all’amore, Dan Snaith ha impiegato vari anni per fornire struttura compiuta alle centinaia e centinaia di idee dietro a Suddenly, uscito a fine febbraio per City Slang, che nasce come reazione agli eventi personali succedutesi all’improvviso nella sua vita e in quella dei suoi famigliari, dalle gioie al dramma delle perdite e dei traumi. Non è un caso che il suo autore abbia adottato un approccio – tra virgolette – più cantautorale, mettendosi così tanto in gioco da inserire addirittura la sua voce, spesso in primo piano, sempre diretta, in pratica in tutti i brani in scaletta. Brani registrati interamente da solo, nel proprio studio casalingo, eccezion fatta per il supporto del collaboratore Colin Fisher a sassofono e sei corde. Si naviga dunque tra pezzi che potremmo quasi dire neo-folk (“Sister”) ed episodi che ripresentano in forma smagliante la dream dance del musicista canadese (“You And I”, scossa da un assolo di chitarra elettrica, oppure “New Jade” e la programmatica “Home”), cartucce più house (“Never Come Back”, “Ravi”) e varie sorprese (i brillanti sample di pianoforte di “Sunny’s Time”, contaminata da hip hop e jazz; le scale filo-orientaleggianti di “Lime”). Un ottimo ritorno, in cui tuffarsi immediatamente.
Come è consigliato addentrarsi, pian piano, sino in fondo, nel nebbioso e più impegnativo labirinto di Cenizas, arrivato a fine marzo sulla Other People gestita dallo stesso Nicolas Jaar, a seguire l’acclamato, politico e a suo modo altrettanto fosco Sirens, pervaso da influenze post-punk e concentrato sulla storia del Cile. Ispirato a livello attitudinale da John Coltrane, scritto tra 2017 e 2019 in una sorta di quarantena volontaria – che sembra adesso una profetica beffa – e mixato insieme all’avanguardista Patrick Higgins (con il quale Jaar condivide il duo AEAEA), il disco si è sviluppato in reazione alla negatività che tutto rischia di fagocitare. È un’ode alle “ceneri” dell’uomo, alle quali si riferisce insomma il titolo in lingua spagnola. La possibile rinascita, la luce, è in fondo a un tunnel di sperimentazione ambient, minimalismo e meditazione individuale: dalla liturgia nero pece di “Vanish” al profondo sound design di “Menysid”, dal dark soul della title-track al sax jazzy di “Agosto”, dallo sciamanesimo ascetico dell’estesa “Mud” al digital blues dell’Est di “Vacíar”, dallo spoken word di “Sunder” al rito liberatorio di “Hello, Chain”, dalla modern classical di “Garden” alle sperimentazioni rumoriste di “Xerox” e alla chiusura leggermente più ritmata di “Faith Made Of Silk”. Un tunnel buio, doloroso ed esorcizzante come i piccoli capolavori che fanno la differenza.