STROMBOLI, Drang
Nico Pasquini, di nuovo, finalmente. Stromboli mancava dal 2021, quando con l’ep digitale Exiles viaggiava tra pulsazioni calibrate e intense fra Paul Jebanasam ed Eliane Radigue. Drang si svela fin dal suo titolo, in krauto idioma: impulso, istinto, stimolo. Proprio da qui parte Stromboli, dal battito primigenio, una pulsazione sporca che va ad espandersi inglobando l’ambiente nel quale si trova, ingrandendosi e mutando. Musicalmente prende la forma di un dub bianco, di un’elettronica carica di materia gravitante intorno ad un nucleo, di una sporcizia che la caratterizza. “Stamina” ed “Hellblau”, i primi due brani, prendono ritmo e misure, mentre con “Aechmea” l’infinitamente piccolo si fa enorme, panorama atmosferico. La musica diviene ambientale, colma di registrazioni e suoni che ci riportano alla natura. Drang sembra una vera e propria fucina sonora applicata alla fioritura, con cui vedere la trasformazione incarnata di un organismo. Poi, con “Tropico Caustico”, ecco uno sbandamento acre e infuocato, che prende la psichedelia portandone l’umidità a livelli di condensa gocciolante, in maniera non dissimile quella delle prove di Nicola Giunta. Drang avanza fra lente scudisciate elettroniche (“Antrieb”), intermezzi cinematografici (“Onice”) e la capacità – con il minimo sforzo – di mordere quando meno ce lo aspettiamo, così da rendere più incisive le proprie tracce, come una “Ocarine” che sibila su quelle che sembrano essere braci ardenti e scariche elettriche. Un disco più “obnubilante” rispetto alle prove precedenti, dove gli impulsi sono maggiori e più larghi, in grado di sorprenderci cambiando radicalmente taglio, dalla morbidezza dei bassi al taglio acido delle scorie sonore. Stromboli chiude Drang con quella che sembra una panoramica aerea di questo micro ambiente: “Continuo Discontinuo”, brandelli di melodia, pulsazioni, corsi d’acqua sempre più lontani, segnali di vita scatenati da un impulso.