STIAN WESTERHUS & MAJA S.K. RATKJE, All Losses Are Restored
Cosa può accadere quando due sperimentatori che praticamente tutto hanno già tentato uniscono le loro forze per dare tributo al Bardo di Avon? Difficile immaginarselo, ma ascoltando il disco di Maja S. K. Ratkje e Stian Westerhus si resta sorpresi… basiti quasi. In primis la copertina, a cura dell’illustratrice Zoe Keller, ci presenta un’immagine candida e bestiale nel medesimo istante: farfalle, un biscione, lo scheletro di un uccellino, una spina dorsale. I primi 25 secondi sono contornati da rumori di ferraglie, attrezzi, che però scompaiono lasciando al basso e agli archi il compito di sostenere prima la voce di Maja e poi quella di Stian. Soul quella di lei, epica quella di lui, fino a perdersi completamente in un mondo arcaico e magico. Vengono in mente i grandi duetti, su tutti quelli che hanno visto Nick Cave lasciar entrare nel suo mondo le sue muse, ma emerge la capacità di Maja e Stian di muoversi in maniera poco ortodossa, all’interno di un suono che si fa tridimensionale e dinamico, quasi quanto quei libri le cui pagine, vanno a formare figure ed immagini. Un violino, un armonium, una chitarra acustica e qualche effetto rudimentale per mettere in scena la magia delle storie, la perdizione e la paura, la genesi e l’intensità. Dovremmo chiamarla musica folk perché si perde nei secoli passati e si presenta a noi come oggetto fuori dal tempo e magico, oppure teatro perché basterebbe un palco e i due corpi per trasportarci ovunque. Magari ancora mitologia o leggenda, perché i due musicisti della Norvegia dalla quale provengono prendono spunti ed attimi nella quale la tensione diventa insostenibile, come in una “Walking Shadow” da far accapponare la pelle. All Losses Are Restored è un disco che riesce a ricollegarsi alla nostra parte più arcaica e ci restituisce la magia della registrazione, dell’emozione e del coinvolgimento più puro e senza fronzoli. A chi per primo ebbe l’idea di invitarli a proporsi in un set acustico all’Oslo Jazz Festival del 2019, provocando probabilmente tutto questo, una sola parola: grazie.