STEVE HAUSCHILDT, Where All Is Fled

STEVE HAUSCHILDT, Where All Is Fled

Dopo ottimi album e qualche punto interrogativo, il viaggio degli Emeralds si è concluso con un ultimo lavoro edito nel 2012, quando i tre fondatori erano già sul punto di imboccare strade diverse. Così, mentre Mark McGuire si dava da fare con le sue pubblicazioni in solo, con John Elliott impegnato nella direzione di Spectrum Spools, fortunata costola della Editions Mego, Steve Hauschildt appariva invece un po’ più defilato, nonostante gli album da solista pubblicati sin da quando il trio non era che agli inizi.

Ad ogni modo, quella che per Hauschildt sembrava una parentesi oggi è diventata qualcosa di ben più importante, come testimonia questo Where All Is Fled, licenziato da Kranky a fine settembre. Ispirato dai pittori surrealisti e dai suoi sogni ricorrenti, qui il produttore americano fa esattamente ciò che da lui ci si aspetta: a ben vedere, infatti, la sua musica pare una miniatura delle fluide composizioni firmate Emeralds, perché alla fine l’idea del moderno (ma nostalgico) corriere cosmico è ancora presente. Processando suoni di diversa origine (di mezzo c’è anche della impercettibile sintesi vocale) e armato di apparecchiature analogiche e digitali affiancate a un reparto orchestrale, Hauschildt propone soluzioni sempre candide e cristalline, tutt’al più venate da una sottile malinconia. Sarà per via dell’approccio – come dire? – lucido, razionale, anche se a smentirmi c’è il carattere bipolare di “Caduceus”.

Un po’ di noia francamente affiora, e quasi settanta minuti non sono pochi, ma i bei momenti non mancano: “Anesthesia”, ad esempio, che pare tratta dagli “Ambient Works” di Pablo Bolivar, oppure le tinte classiche della title-track, con le note del piano a dipanare banchi di nebbia. E poi ci sono gli ammiccanti fraseggi melodici di “Arpeggiare”, emblematici sin dal titolo: in un immaginario mondo popolato da soli synth-addicted, probabilmente questo sarebbe un brano da classifica. “Aequus”, invece, posizionata dopo l’estasi di “The World Is Too Much For Us”, non fa una bella figura, visto che spunta un’ipotesi ritmica sin troppo compiaciuta, che non dice molto né al corpo né allo spirito.

“Where All Is Fled” va insomma apprezzato per quel che è; c’è da dire che venti minuti in meno avrebbero giovato assai, dando maggior risalto al potenziale emotivo che il disco è, e sarebbe, in grado di liberare. Per certi aspetti mi ha ricordato l’omonimo debutto di Vermont (duo composto da Danilo Plessow, aka Motor City Drum Ensemble, e Marcus Worgull) uscito nel 2014. Ma l’accostamento serve più a proporre un’altra valida alternativa, che per altro…

Tracklist

01. Eyelids Gently Dreaming
02. Arpeggiare
03. A Reflecting Pool
04. Anesthesia
05. Vicinities
06. Edgewater Prelude
07. In Spite Of Time’s Disguise
08. Where All Is Fled
09. The World Is Too Much with Us
10. Aequus
11. Caduceus
12. Sundialed
13. Lifelike
14. Centrifuge