Speciale Invictus Productions: intervista a Darragh O’ Laoghaire
L’Irlanda è un paese che ha dato al metal molto di più di quanto si crede. In ambito estremo, c’è un etichetta che da quasi vent’anni porta avanti il suo verbo, incurante delle tendenze, riuscendo a essere influente grazie a un roster di primo livello, con band dalla personalità invidiabile. Della Invictus Productions vi abbiamo parlato di recente in occasione dell’uscita dei dischi dei Demonomancy (italiani, tra l’altro), dei Solstice e degli Antiversum, mentre se guardiamo indietro possiamo vedere che, oltre a questi nomi, ha prodotto e contribuito a promuovere gente del calibro di Portal, Vomitor, Gospel Of The Horns, Antediluvian, Tribulation, Negative Plane e Malokarpatan, oltre ad aver aiutato i connazionali Malthusian, ZOM e Coscradh ad avere un giro più grosso al di fuori dell’Irlanda. Abbiamo fatto qualche domanda a Darragh O’ Laoghaire, che dal 1999 gestisce l’etichetta ed è riuscito, dopo molta fatica e dedizione, a farne un lavoro vero e proprio, che occupa la maggior parte del suo tempo.
Nel 2019 Invictus compirà 20 anni. È un’etichetta che sta crescendo e adesso è il tuo lavoro a tempo pieno. È stato duro raggiungere quest’obbiettivo nel corso di questi anni? Quali sono le nuove uscite in programma?
Darragh O’ Laoghaire: Esatto, nel 2019 ci sarà il ventesimo anniversario della nascita della label. È stata quasi un’impresa. Le circostanze hanno stabilito che questo è diventato il mio lavoro, non è una cosa che avevo pianificato. Nel 2006 avevo lasciato il mio impiego per dedicarmi a tempo pieno all’etichetta, cosa che sarebbe durata un anno prima che tornassi nuovamente a lavorare part time e poi mi iscrivessi all’università per altri quattro anni. Terminati gli studi, con alcuni amici abbiamo aperto un negozio di dischi e studio di tatuaggi chiamato Into The Void Records, che è durato da febbraio 2011 fino a dicembre 2014. In quel periodo gestivo il negozio e l’etichetta nello stesso tempo. Purtroppo il primo è finito in secondo piano perché la seconda stava crescendo, così tutti insieme abbiamo deciso di chiuderlo e fare altro e dunque ho potuto tornare a dedicarmi a Invictus come primo e unico lavoro. Farla passare dall’essere un hobby che portavo avanti nella mia camera a un’occupazione vera e propria non è stato semplice, ma così sono andate le cose e adesso è quello che faccio.
Le uscite per i prossimi mesi sono Antimoshiach degli Spite, il nuovo album dei Malthusian (Across Deaths), gli ep dei Coscradh e degli Apologoethia, una compilation dei Qrixkuor e la ristampa del loro Three Devils Dance, poi pubblicherò gli album di Demonomancy e degli Antiversum in formato lp (per ora c’era solo la versione cd, ndr). È abbastanza per tenermi occupato.
Le band nel tuo roster non sono le classiche formazioni estreme, perfettamente radicate in un genere, la loro musica è unica. Quali caratteristiche deve avere un gruppo per andare sotto Invictus?
Ricevo in media cinquanta email al giorno da gruppi che mi chiedono di produrre loro qualcosa. In genere finiscono tutte eliminate, tranne alcune che leggo per noia o per morbosa curiosità. Va a finire sempre nello stesso modo, con me a chiedermi “perché dovrebbe interessarmi?” (ride, ndr). Di solito ascolto o mi consigliano qualcosa da approfondire perché c’è qualche elemento che potrebbe appartenermi. È sul serio così semplice. Non tutto quello che faccio può piacere a tutti, ma in quel momento mi deve convincere. È questo il principio che conta.
A volte organizzi concerti, come con l’Unconquered Darkness Fest. Come sta andando la scena in Irlanda? C’è più gente che va ai concerti rispetto a vent’anni fa?
L’underground è sempre stato molto piccolo e ma non tutti si conoscono così tanto da salutarsi. È da molto prima di avere l’etichetta che organizzo concerti, ma è una cosa per la quale non provo più molto interesse. Continuo a organizzare qualche concerto occasionale qua o là ogni tanto. Le band underground qui fanno dalle 50 alle 120 persone, mentre nomi più grossi come i Rotting Christ possono arrivare anche a 3-4000. Il divario tra le scene underground è ampio. Rispetto a vent’anni fa è tutto molto diverso e siamo tutti più vecchi!
Qual è il significato dietro alle parole “Heathen Resistance – Era Vulgaris” nel logo della tua etichetta?
Il discorso della resistenza pagana è da intendersi come un “vaffanculo” a quella struttura onnicomprensiva che è la religione cattolica, che ha tenuto l’Irlanda come congelata sotto il suo controllo. È un atto di ribellione nei confronti di una religione che ha, in primo luogo, creato una grossa divisione nella società del mio Paese e ha contribuito a rendere molto austero il modo in cui eravamo come persone. Ovviamente sotto il rispettabile velo del Cattolicesimo c’erano l’orrore e la brutalità del suo regno: questo venne a galla tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, e il nostro popolo si aprì a una riconsiderazione di ciò che la Chiesa realmente fosse. Date quindi la mia avversione nei confronti dei dogmi stringenti del Cattolicesimo e la viva e ricca tradizione della storia pre-cristiana, la “resistenza pagana” è diventata un concept per l’etichetta.
Negli anni ’90 avevi messo su due fanzine, Ancient Wisdom e Dlúth Cheangal Fuil, che gestivi assieme ad Alan dei Primordial. Cosa ti ricordi di quei giorni? C’erano altre fanzines a cui ti ispiravi?
La prima, Ancient Wisdom, la gestivo da solo. Avevo già provato a mettere su una fanzine nel 1993 ma la cosa non si era concretizzata. Credo che chiunque fosse coinvolto nel tape trading negli anni ’90 avesse una fanzine. Ci ho messo due anni a mettere in piedi Ancient Wisdom. È una cosa che mi ha molto divertito e mi dava l’idea di contribuire all’underground ed esservi coinvolto. Non scrivevo alle etichette per avere promo o altro, non era quello il punto.
Facemmo la seconda, “Dlúth Cheangal Fuil” (Bond of Blood), nel 1997/1998 e credo fosse un po’ più “matura”. Cercavamo di essere svegli e intelligenti con le domande, con gli articoli e le recensioni, e nello stesso tempo di essere anche un po’ cazzoni. Anche in questo caso mi sono divertito molto. Ad esempio, mi ricordo feci dei volantini per la fanzine con un volontario dell’IRA, Alan si impressionò moltissimo pensando che fosse un po’ troppo! Non sono durati a lungo (ride, ndr)! È stata una cosa stupida da fare ma avevo 21 anni e avere idee stupide fa parte del gioco se sei giovane. Se non lo sono, ti sei perso almeno metà delle cose che rendono bello l’essere giovani!
Tu canti in una band death metal, i Vircolac. Avete fatto due demo e un ep, avete ora in programma un full length e delle date fuori dall’Irlanda?
Abbiamo in programma di registrare un full length ad ottobre, che uscirà a marzo 2019. L’ultima data che abbiamo fatto al di fuori dell’Irlanda è stata in Olanda a febbraio e penso che ne faremo altre a disco uscito. Tre di noi sono vecchi e gli altri due hanno figli e un lavoro a tempo pieno, trovare tempo per suonare è un po’ difficile. Non suoniamo molto live, che per me va bene, ma spero di poter fare più concerti con l’uscita dell’album e anche di fare un piccolo tour in Europa.
Hai fatto uscire molti gruppi australiani, trai quali i Gospel Of The Horns. Come sei entrato in contatto con loro?
Nel ’99 Steve Hughes degli Slaughter Lord e in seguito l’allora bassista dei Deströyer 666, Simon Turner, si sono trasferiti in Irlanda, così ci siamo conosciuti e siamo diventati amici. Simon aveva una cassetta piena di roba australiana di fine anni ’90, come il secondo demo dei Gospel Of The Horns (Sinners), il demo dei Razor Of Occam, Armoured Angel e altro. Ho ascoltato quella cassetta fino alla morte. Ho iniziato a scrivere a Deströyer 666 e Gospel Of The Horns, a distribuire i loro dischi e il loro merch qua. Sapevo che questi ultimi avrebbero fatto un tour europeo nell’estate del 2000, così gli organizzato un concerto qua coi Primordial a luglio dello stesso anno. Sono rimasti a casa mia per una settimana e siamo diventati amici in poco tempo. Il resto è storia!
Quali sono le tue uscite che hanno venduto di più? E quelle che preferisci?
Gospel Of The Horns, Tribulation, Bölzer, Solstice, Malokarpatan e Negative Plane, per nominarne alcune. Me ne piacciono diverse, ma se devo essere sincero il disco che è stato un punto di svolta per me e per lo sviluppo dell’etichetta è The Formulas Of Death dei Tribulation. Ha un posto speciale nel pantheon della Invictus, così come ho molto rispetto per Stained Glass Revelations, A Call To Arms, il demo MMXIII dei Malthusian e il disco degli ZOM, Flesh Assimilation.
Tu sei nato a Cork ma ti sei trasferito a Dublino molti anni fa. Pensi che sia molto più difficile far nascere un’etichetta lì piuttosto che nella capitale irlandese?
La ragione che mi ha spinto a spostarmi da Cork a Dublino è che a metà anni ’90 lì in ambito metal non c’era più nulla, la scena era completamente sparita. Così tanto che verso la fine del decennio organizzavo concerti da Dublino a Cork. Non c’era più niente: né gruppi, né concerti né alcuna forma di interesse. La scena rave era esplosa e tutti le stavano appresso a fottersi la testa tra prendere ecstasy, tagliarsi i capelli e indossare abiti sportivi. Nel 1994, quando stavo finendo la scuola, ero in contatto con alcune persone di Dublino e insieme andammo a Londra per un release show di un disco dei Cradle Of Filth. Tutti in quel gruppo, eccetto un paio di ragazzi, erano in una band, avevano una fanzine o cose simili a Dublino, quindi è stato naturale per me andare lì. L’idea della label mi venne in seguito e far nascere un’etichetta in Irlanda è difficile ovunque. Non abbiamo le scene così come esistono in altri Paesi.
Ci sono gruppi italiani che ascolti?
Sinceramente, i Demonomancy sono l’unico gruppo italiano che ascolto. Non sono mai stato fan di Mortuary Drape, Death SS e Paul Chain. Non mi dispiacciono i Black Hole, ma i Demonomancy regnano.