SOTE, Majestic Noise Made In Beautiful Rotten Iran
La copertina non è particolarmente bella, eppure svolge degnamente il suo compito: presenta più spettrogrammi sonori, in diverse tonalità, che sembrano voler ricordare lo skyline di Teheran, i minareti, la Torre Milad, oppure le cime che sovrastano la capitale iraniana, da qualche tempo meta sciistica particolarmente à la page. L’ultimo lavoro di Ata Ebtekar in arte Sote è una dichiarazione d’amore – mediata dalla tecnologia – per la propria terra e nel contempo una manifestazione di pareidolia sonora, sentire quello che non c’è, un’allucinazione acustica che oscilla per tutta la sua durata fra minimalismo e massimalismo, fra sequenze di arpeggi venate di melanconia, quella di chi si trova sospeso fra mondi diversi (la Germania in cui è nato, gli Stati Uniti dove ha soggiornato a lungo, l’Iran terra d’origine in cui attualmente risiede) e colate di rumore, fucilate, suoni grossi come montagne, vette che si sovrappongono a perdita d’o(re)cchio.
Quando il suono perde di nitidezza siamo dalle parti di Lorenzo Senni, ritroviamo lo stesso baluginio nostalgico e quel flusso di adrenalina sempre una tacca sotto dal tracimare in movimento estatico e scomposto. Rispetto alle prove precedenti di Sote si fa poco o nessun ricorso alla tradizione: qui è un trionfo del sintetico, suoni lucidati a specchio finiscono quasi sempre per conficcarsi nell’indistinto e corrompersi, il detuning che affossa le velleità melodiche. Majestic Noise Made In Beautiful Rotten Iran suona come uno sforzo da parte di Ebtekar di proiettare in avanti le proprie radici nel progetto di una “Persia Parallela” (volendo riprendere uno dei suoi titoli) in cui setar e santur, strumenti tradizionali utilizzati nei precedenti lavori, possono anche cedere il passo al rumore e al sound design.