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SLEEP + A STORM OF LIGHT, 16/5/2012

Sleep live

Roma, Circolo degli Artisti.

La possibilità di vedere in azione gli Sleep, nati come puro gesto d’amore verso i Black Sabbath, mutati in entità a sé stante con una ben definita personalità e, infine, assurti a vero e proprio culto (con tanto di ristampa su picture disc a opera della Southern Lord per Dopesmoker), acquista i connotati dell’evento e richiama un nutrito manipolo di devoti, pronti a celebrare una delle formazioni simbolo della capacità del doom di evolversi in stoner, psichedelia, dilatazione drone e oltre. Prima, però, c’è tempo per una passeggiata discografico-culinaria al Pigneto con sosta a Radiation Records e sindrome di Stendhal di fronte alla mole di vinili stipati all’inverosimile all’interno del negozio, un bagno di nomi, ricordi, curiosità che vedrà qualcuno di noi portarsi a casa un bel bottino di reperti decisamente interessanti. Ciondoliamo tra una bevuta e una sosta al banchetto del merchandise: ci riesce di occupare la pole position sotto al palco pochi attimi prima che irrompa la folla e il locale si trasformi in una piazza gremita.

Ad aprire sono gli A Storm Of Light, che confermano l’ottima impressione fatta quando li abbiamo visti dal vivo di spalla ai Neurosis. L’esibirsi al chiuso e non sotto le stelle come la volta precedente giova alla formazione, che sfoggia un suono monolitico e al contempo graffiante, cui l’unica pecca imputabile può essere solo un’eccessiva lontananza della voce di Graham, un po’ troppo coperta dagli strumenti. Per il resto c’è poco da recriminare. La formazione, rispetto alla prima venuta, vede la mancanza di Signorelli alla batteria e una nuova chitarrista. Su di lei non abbiamo informazione alcuna, ma svolge il proprio dovere in maniera impeccabile e rende ancora più dinamica la presenza on stage della band, inoltre sfoggia la maglia degli Eyehategod  a mo’ di garanzia sulle sue intenzioni bellicose. I brani dell’ultimo album reggono e bucano dal vivo, hanno la capacità di mostrare tutta la gamma di dinamiche interne al suono degli A Storm Of Light e rispecchiano in pieno la natura ibrida di un progetto che lambisce noise, doom, postcore e psichedelia senza perdere mai una propria cifra sempre più netta e personale. Chi aveva storto il naso di fronte al primo lavoro, tacciato a torto di staticità, e aveva considerato il progetto un mero divertissement, dovrebbe fare ammenda. Il consiglio è – se As The Valley Of Death Becomes Us fosse stato tralasciato – di rimediare quanto prima e lasciarsi conquistare dal magma ibrido di casa Graham/Seita.

Ovviamente, neanche a dirlo, il grosso del pubblico è accorso per gli Sleep e accoglie l’arrivo dei tre con un’ovazione degna di veri e propri idoli, il che stona un po’ con la pacatezza e con la mancanza di concessioni al look che contraddistingue la coppia Pike/Cisneros a dividersi il fronte palco. Pike appare sempre più come un transfugo del pianeta Hawkwind finito suo malgrado in una reunion di famiglia in qualche trailer-park, Cisneros assomma una mole di tutto rispetto con la capacità di interagire con suo basso attraverso movimenti mesmerici, quasi si trattasse di un qualche rituale, l’esatto contrario della furia e passionalità con cui Pike maltratta la sua chitarra. A dispetto del tempo trascorso e dei molti progetti messi in piedi e portati avanti dopo lo scioglimento degli Sleep, la band tiene il palco per ben due ore e ripercorre senza cedimenti la propria storia, così da tenere in pugno il pubblico osannante trascinato a zonzo tra deserti e pianeti, lande sconfinate e vuoti siderali. Lunghe suite e classici come “Dragonaut” segnano un impressionante set che ruota attorno a “Dopesmoker”, alfa e omega di una celebrazione di un passato che non vuole proprio cedere il passo ed è ancora in grado di lasciare una cicatrice profonda su vecchi e nuovi adoratori. Al contrario, proprio nella distanza temporale e nella visione di ciò che è stato in seguito, si capisce più chiaramente l’importanza e l’influenza che gli Sleep hanno avuto su molte delle attuali stelle, così come si comprende il rapporto padre/figlio che c’è tra Sleep e Black Sabbath, in una linea di sangue che detta le coordinate per chiunque oggi voglia comprendere il connubio estremismo sonoro/oscurità. Tutto il resto è noia.