SLEEP, Dopesmoker
Pietra miliare.
Dopo una vicenda discografica che è eufemistico definire travagliata, finalmente siamo al cospetto della ristampa del monolito Dopesmoker. Merito del lavoro appassionato della Southern Lord di Greg Anderson, che, su suggerimento di Al Cisneros, si prende la briga di mettere ordine – speriamo definitivo – in una storia alimentata da etichette (London Records e Tee Pee) e mitizzata dalle riviste di settore. Anche i fan più accaniti hanno vissuto più di qualche peripezia pur di avere tra le mani un singolare gioiellino come questo. Al Cisneros stesso e Matt Pike (due terzi della formazione che realizzò Dopesmoker) proprio ora sono in azione sui palchi di mezzo mondo e la recente reunion sta funzionando più che bene, ma – lo diciamo subito – l’operazione era comunque dovuta e non dovrebbe interessare solo i frequentatori di musiche stoner, metal e affini.
Il disco non è soltanto un unico pezzo senza pause, dell’incredibile durata di un’ora circa, è anche un viaggio nella psiche umana foraggiata da un uso smodato di sostanze psicotrope. Lungi da noi banalizzarne il contenuto con simili considerazioni, ma riesce difficile apprezzare solo da lucidi cotanta sostanza musicale. I continui spostamenti tellurici, la voce al catrame di Cisneros (basso) e l’andamento pachidermico della chitarra di Matt Pike e, non meno fondamentale, il drumming fragoroso di Chris Hakius, creano strutture sempre al limite del collasso. Al contrario, tutto rimane in piedi grazie alla “capacità illusionistica” del terzetto, la stessa del metal “illuminato”: si prende la lezione sabbathiana e se ne riverberano a proprio modo le sensazioni di base, partendo da un concetto semplice come la lentezza. Del resto altri notevoli epigoni di quel verbo come i Saint Vitus avevano provato già nella loro epoca (gli oscuri anni ‘80 della grande SST) a farne un modello musicale. Ci sono certamente riusciti, ma rimanendo solo un culto (si fa per dire). Gli Sleep, invece, hanno portato più in avanti il discorso (non è un caso che dalla loro diaspora siano nate band ottime ed eterogenee come Om, High On Fire e Shrinebuilder), alimentando di fatto anche entità come Sunn O))) e compagnia.
Tutto ciò per ribadire un dato importante: Dopesmoker è un tostissimo tappeto sonoro fatto di brevi e convulsi assolo e di stasi chitarristiche degne di un maremoto (quel fragore improvviso che ti assale verso il 43’ minuto), anche grazie al lavoro di remastering di Brad Boatright (From Ashes Rise). Giusto, insomma, tributare loro la sacrosanta posizione acquisita. D’altronde il passato remoto degli stessi musicisti parla chiaro (i mai troppo osannati Asbestosdeath). Sono sempre stati devoti al culto della flemma esasperata, concetto che ci sentiamo di avallare in tutta la sua interezza, anche simbolica.
Riempie la ristampa una versione dal vivo di “Holy Mountain” (il vinile della versione americana include anche “Sonic Titan”), ciliegina sulla torta – pur se la registrazione non è eccelsa – di un disco che è troppo poco definire seminale.