SLANDER, Calunnia
Sei brani più ghost track, due guest, una cover, tanti input differenti e una crescita che non rinnega le radici né quanto fatto finora, ma arricchisce la formula con ingredienti e input che aumentano l’orizzonte musicale senza tradire il primo amore. Si parte con un uno-due da KO, brani in cui il crossover (a me piace chiamarlo bandana thrash) si fonde con cori irresistibili stop&go, groove da scapocciare come non ci fosse un domani, ma anche con accelerazioni che trasformano lo Slander-pensiero in una vera e propria centrifuga per pit infuocati. Ma è con il terzo brano che le cose si fanno inaspettate, con un sound che richiama alla mente uno scontro tra Bay Area e Venice, tra Mordred e No Mercy, gli inserti elettronici e un tiro cui è davvero difficile restare indifferenti, una dimostrazione di come gli Slander non abbiano paura di mettersi in gioco e mischiare le carte in tavola, tra l’altro con risultati decisamente positivi. Velocissima sfuriata thrashcore e si riparte con il secondo guest, hip hop e riffoni, groove dal basso e West Coast, fin troppo corta, ne avremmo voluto di più visto che ci lascia proprio quando cominciavamo a muoverci ciondolando a tempo. Finale esplosivo con un anthem che dal vivo farà scintille, anche qui però non si gioca sullo scontato e si chiude con un riff che non dispiacerebbe trovare in apertura del prossimo album, quasi un incipit di ciò che verrà in futuro. Una manciata di minuti di silenzio e parte la cover che non ti potevi aspettare, direttamente da Seattle, ma riletta alla maniera degli Slander… Titoli di coda. Applausi. Buio in sala.
Even if you have, even if you need, I don’t mean to stare, we don’t have to breed, We could plant a house, we could build a tree. I don’t even care, we could have all three, she said