SISTER IODINE, Blame
“Rumori” che sanno di catastrofe imminente, persi nei sibili dell’elettronica e nei tonfi di una base ritmica che pompa disperazione, questo è l’incipit selvaggio di “Blanc Domaine” e di Blame, ultimo parto di questa band francese attiva dai primi Novanta, che però ha vissuto un lungo stop a metà carriera. “Emprise”, dal canto suo, è sabba violentissimo dove fa capolino quel che rimane d’una voce scorticata, e “Ø” prosegue più o meno su questo sentiero, se possibile in modalità maggiormente ottusa ed ottundente (pensate per un attimo al primo Prurient…), ma è tutto il disco a mantenere alta la tensione, tra volumi impossibili e scudisciate – fieramente al limite del “white noise” – che non danno tregua. La “scelleratezza” è di casa, comunque, visto che i tre hanno sempre messo in primo piano l’amore per il suono “sporco” e contaminato dal sudiciume dei loro strumenti (una tempesta assurda come quella di “Obscurity Call” è cosi efficace nel suo essere ferale che si fa fatica a sopportarne la portata fisica). Lionel Fernandez, Erik Minkkinen e Nicolas Mazet sanno il fatto loro e ci consegnano un album che si fa apprezzare per la capacità di non risultare mai fuori fuoco. Facile – in apparenza – fare noise, molto meno controllare cotanta massa sonora senza risultare scontati. Blame, al di là di questa considerazione, è in ogni caso disco adatto a orecchie particolarmente allenate.