SIMON FISHER TURNER, Instability Of The Signal
La frequenza che trasmette la musica di Simon Fisher Turner è cangiante eppure riconoscibile e potente. Turner ha attraversato cinquant’anni di sperimentazione musicale europea: dai primi anni Settanta – come possibile clone di Bowie nei panni di King Of Luxemburg – a ispiratore di band seminali come The Gadget, The The e The Hangovers, quindi la collaborazione col regista Derek Jarman dal 1986 al 1994, dei cui film di quel periodo ha curato le colonne sonore (“Wittgenstein” escluso), e senza dimenticare l’avventurosa carriera solista intessuta di collaborazioni artistiche in ogni ambito creativo (Dumb Type/Shiro Takatani, Brian Eno, Tilda Swinton, Alyson Shotz…). SFT, isnomma, rimane una personalità in qualche mdoo misteriosa e inclassificabile. Ciò premesso, alcune perle assolute, che siano degli score o meno è irrilevante, è giusto citarle: “Caravaggio” (1986), “The Last Of England”(1987), “Revox” (1993), “Blue” (1993), “The Epic Of Everest “(2014) , “Care” con Klara Lewis (2018).
Instability Of The Signal, pubblicato da Mute Records, fin dal titolo riassume l’estetica di questo musicista nato in quel di Dover nel 1954. Si tratta di un album ispirato all’opera dei cineasti sperimentali Breda Beban (serba) e Hrvoje Horvaticv (croato), che riunisce i quattro filoni di sperimentazione acustica da sempre identificati da Turner in “sounds”, “singing”, “strings”, “slivers” ed è statoregistrato in collaborazione col sound artist David Padbury e con l’Elysian Collective Quartet.
“Barefeet” ci introduce a-piedi-scalzi in un mondo acustico fantasmatico: l’ascoltatore è posto all’interno di un paesaggio sonoro che, pur digitale, riproduce naturalisticamente il nostro inconscio in allarme con i sentimenti dell’ansia come della curiosità che attanagliano chiunque si addentri in un ambiente sconosciuto, un labirinto di suoni che prende forma nelle seguenti, pur sempre enigmatiche, “Turning Slowly” e “She Lowers Her Arms”. “I Can’t Hear Anything” amalgama accordi di un pianoforte classico con suoni concreti e voci femminili bisbiglianti, ed è poesia sonora allo stato embrionale, quando tutto è ancora in divenire, inoltre ci riavvicina ai soundscapes composti per Jarman e per la voce di Tilda Swinton, musa di e per entrambi. “Trashing It Out” è attraversata da violenti inserti noise su di una struggente sezioni di archi che s’inabissa in “Fishscales”, con l’inconfondibile voce di Simon in sovrapposizione al bordone dark ambient, segue “Boymanduet”, interludio di piano solo fuori-fase che ci rivela la seconda parte dell’album con “Toast”, una madeleine in forma di gioco elettronico dal testo infantile ma con chitarra grattata e “base” inquietante il giusto, con allegato un delizioso video diretto dal sodale John Lee Bird. Segue la politica “Democracy”, ispirata a un testo di Harold Pinter (“there is no escape… watch your back!”). “Tape Ends” infonde purissima psichedelia dal sapore industrial nel flusso acustico, anticipando la tragedia di “The Special Relationship” quando la sapiente stratificazione sonora, inconfondibile marchio di fabbrica del nostro, si intreccia ancora a un testo del 2004 dell’amato Pinter: “the bombs go off-the legs go off-the head go off… A man bows down before another man-and sucks his lust”. Il quartetto d’archi Elysian Collective è protagonista del penultimo brano, “Purr”, introducendo la conclusiva ed emozionante “Bless Your Hands (part 1&2)”, ma qui evidentemente non ci sono parole perché è SFT al suo massimo stato-di-grazia e noi, noi con lui.
P.S. riguardo a Breda Beban e Hrvoje Horvaticv su triestecontemporanea.it è possibile ascoltare l’audio di “Biografia della Fugacità” testo a loro dedicato dal regista e scrittore triestino Marko Sosic (1958-2021).