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SIMM, Too Late To Dream

Un quarto di secolo separa l’esordio e l’ultimo lavoro, il terzo, di Eraldo Bernocchi a nome SIMM, una sigla che lo storico membro di Sigillum S riserva alle proprie produzioni in un ambito che oscilla fra avant dub e illbient: Too Late Too Dream si muove in quell’area poco illuminata fra la dancehall e il baratro frequentata da gente come Kevin Richard Martin, con il quale Bernocchi condivide qui anche il salmodiare grave di Flowdan. Le analogie con l’ultimo The Bug finiscono così, in ogni caso: mentre Fire si distende come una superficie sonora irregolare, disseminata di granuli e spuntoni, l’ultima uscita di Bernocchi fluisce spavalda, si presenta come materia altamente viscosa, un torrente di casse giganti e bassi cavernosi, spesso e volentieri tendenti a slabbrarsi, che diventa un invito a ballare sopra le macerie, salvo poi diventare noi stessi maceria, oppure a lasciarsi travolgere, scivolare lungo le pareti del consenso (titolo e copertina sono in questo senso crudelmente esplicativi, metafore di un futuro prossimo svuotato di ogni speranza, testimonianze di una disillusione vicina a mutare in tragica impotenza). Fra bpm sempre misurati, la macchina congegnata da Bernocchi appare ben oliata con i suoi richiami all’industrial – core business della ditta – lampi di jungle, echi dub e anche qualche velata concessione alla melodia. Oltre al già citato Flowdan, che sembra trovarsi qui particolarmente a suo agio, Bernocchi ha tirato dentro all’operazione il vocalist sudafricano Phelimuncasi, già ascoltato su Nyege Nyege Tapes, in un brano che del gqom conserva solo la sofferenza e l’energia, non la luce e i colori africani. Too Late Too Dream è sabbie mobili per le orecchie: meglio restare fermi a pensare o cominciare a muoversi? Entrambe le opzioni sembrerebbero particolarmente rischiose.