SILK ROAD ASSASSINS, State Of Ruin
Il futuro non solo non è più quello di una volta (cit.), ma parte anche già abbastanza rovinato. Neanche la soddisfazione di una certa grandeur distopica, solo una malinconica escursione a ritmo di grime di uno stalker nostalgico (alla Strugackij o alla Tarkovskij, sia chiaro) nella Zona. O almeno questo sembra essere il frame più adatto a inquadrare il primo full-length di Tom E. Vercetti, Lovedr0id e Chemist, in arte i Silk Road Assassins. I tre producer britannici sotto l’ala di Planet Mu seguono le direttive già presenti nel loro ep di debutto del 2016: ritmiche grime/drill e trap come se piovesse, ma intersecate con tagli e geometrie IDM e, soprattutto, rimaneggiate in maniera tale da prestarsi ad atmosfere riflessive, malinconiche, inquiete. Quelle lunghe apnee tra gli enormi vuoti depressurizzati che si creano tra il colpo di subwoofer e il picchiettare degli hi-hat vengono riempite con texture e punteggiature di synth, improvvisi squarci di luce, nubi ambient-ali e armamentari (hyper)dub, alternando alienazione da dancefloor, scenari da deserto urbano e drammatiche fughe tra le macerie, sempre con una sorta di fosco sentimentalismo a fare da collante. Al netto di qualche sbavatura, il terzetto riesce quasi sempre a trovare un equilibrio convincente tra le esigenze ritmiche intrinseche ai generi di partenza e l’aspetto emozionale della faccenda, sviluppando un suono equidistante sia da eccessivi sperimentalismi, sia dall’immaginario sopra le righe del grime comunemente inteso. Magari qualche linea di synth sembra un po’ piatta, magari il tramestio dei WWWings ospiti in “Shadow Realm” sembra messo un po’ lì per caso, ma in ogni caso il futuro dei SRA appare decisamente meno plumbeo di quello dipinto in State Of Ruin.