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Uno sguardo sulle nuove produzioni Sincope

Tensione, malessere diffuso, improvvisazione su forme musicali sfuggenti già di sicuro battute da tante band, eppure mai “riconciliate” e frutto di idee messe in pratica con la giusta dedizione e quel pizzico di sana follia (è roba per stomaci piuttosto forti, va detto). Cosi potremmo descrivere le uscite dell’italiana Sincope che prendiamo in esame (in rigoroso ordine alfabetico). Siamo di fronte a un’etichetta diy, coraggiosa nelle scelte che opera anche a giudicare dai formati che adotta per le proprie pubblicazioni. Buon approfondimento e buon ascolto.

GRIZZLY IMPLODED, Threatening Fragments From Our Boulders

grizzly

Granitici, ottundenti, presi da una sorta di ossessione per un pre-blues che sa di intrinsecamente  primitivo e cacofonico, volutamente “scompaginato”, i napoletani Grizzly Imploded ‒ con un membro di A Spirale ed Aspec(t) ‒ con questo “Threatening Fragments From Our Boulders” (titolo notevole, tra l’altro) si impegnano a fondo per renderci la vita più difficile di quanto non lo sia già. L’incipit è per il jazz nerboruto e le grasse frammentazioni, appunto, di “The Light That Took Complete Control Of My Eyes”, sei minuti che lasciano il segno. Il lato A prosegue con la nevrotica “Scary Alien Worlds Are On The Prowl”, come gli Us Maple che ospitano alle chitarre i Colossamite al gran completo, e ci raccontano di un probabile tracollo nervoso. Il secondo lato accentua ancora di più il lato squisitamente “sperimentale” del progetto (ebbene sì, non so come, ma riescono ad essere ancora più impenetrabili), introducendo pause e atmosfere notturne, l’intermezzo lunare di “A Shuttlecraft Weighed Down By A Layer Of Honey” e la conclusiva “Scratched By The Sounds…”, cavernosa e nera al punto giusto. A conti fatti, una conferma di quanto già dimostrato con Anabasi. (Maurizio Inchingoli)

JABBER GARLAND, Primitive Future

Jabber-Garland

Dopo il cd-r Catalogue Of Disasters (Inner Empire), il progetto Jabber Garland torna in Italia con Primitive Future, audiocassetta in edizione limitata a sole cinquanta copie. Il duo norvegese è composto da veterani della scena noise, drone e field-recordings: Sindre Bjerga e Andreas Brandal. Delle ultime quattro uscite targate Sincope ‒ assieme a Elementer dei Sutt ‒ è quella che più ho apprezzato, ma solo per una mera questione di gusti personali. Primitive Future è un miscuglio d’ipnotici field-recordings, rituali cosmici, occultismo, pratiche voodoo e caotici rumorini metallici che accompagnano e squarciano drone lunghi e organizzati. Da avvertimenti demoniaci si passa, in un microsecondo, a tristi ricordi del passato, schivando morsi di serpenti e sfuggendo a rapimenti alieni. “Catalogue Of Diseases” – power-noise da catena di montaggio e rumori da fonderia per acciai speciali – provoca isteria di massa compulsiva, ma è anche la cornice ideale per il quadro putrescente di “A House Where Death Has Occurred”, death-industrial con qualche reminiscenza nordica dell’ormai defunta scuola Cold Meat Industry (si parte dalla blasfemia MZ.412 per arrivare fino alle sonorità Atrium Carceri, opprimenti e gelide).  Artwork minimale curato come sempre dal truculentboy e ascolto obbligatorio attraverso ottime cuffie, altrimenti vi perdete tutti i meravigliosi effetti sonori. (Massimiliano Mercurio)

PALE SISTER, Embeddead

Pale-Sister

Dopo Ordeal, a distanza di quasi due anni tornano a farsi sentire da Torino i misteriosi Pale Sister. Ciò avviene attraverso un noise violento e grezzo (il loro marchio di fabbrica), col quale riescono a mettere nel frullatore il cervello, facendolo a fettine sottili e giocando poi a mikado con le interiora: roba davvero per stomaci più che forti. Ogni qual volta ascolto queste aggressioni il cervello va in tilt, tanto che poi tocca resettarlo con ascolti più soft: Diana Est.

Non ero a Dresda durante la Seconda Guerra Mondiale, ma forse non bisognerebbe mai far ascoltare queste tipologie di rumori ai pochi superstiti del 1945. Ragionando sulla composizione del titolo (“Embeddead”) e sugli elevati picchi di decibel, si possono fare molteplici associazioni. A ognuno le proprie, ma nel complesso sembra davvero l’unione di vecchie registrazioni di caccia zero giapponesi in picchiata e di bombardamenti aerei, magari prelevate con mezzi di fortuna dall’interno di un’umida cantina. Restando meno catastrofisti, si può invece pensare a qualcosa come una centrifuga di lavatrice da ventimila giri messa all’interno di un gigantesco pallone aerostatico che, espellendo gas elio per scendere di quota, si appresta a entrare nella stratosfera. Oppure, volendo, anche a cortocircuiti bidirezionali e transistor che esplodono per il sovraccarico di corrente. Insomma, se Pale Sister vuole lo scontro, allora che guerra sia. Chiameremo a raccolta gli amici d’infanzia e scateneremo anche noi venti minuti di ordigni termonucleari, raggi protonici, magli perforanti e alabarde spaziali. È arrivato il momento di combattere. (Massimiliano Mercurio)

SUTT, Elementer

Sutt

Il duo dei Sutt, di stanza a Berlino, ma difficilmente tedesco a giudicare dai cognomi (Sofie Trolde Cristiansen e Utku Tavil), la butta sul versante harsh, tra improvvisazione e bruitismo, va da sé, volutamente anarcoide. Elementer contiene nenie al limite delle litanie sataniche della Galás in “Test Tone 95” (registrata a Tokio), mentre nella successiva “Jord” sembra quasi di ascoltare una Björk sofferente e indemoniata, che torna indietro ai tempi dei KUKL, una delle sue prime folli esperienze canore. Nel lato B dominano sempre i vocalizzi della Cristiansen, che col suo stile si avvicina alla prova vocale di una Stefania Pedretti, però la differenza la fanno le basi, profondamente nere e sinistre, il vero tratto caratterizzante dell’intero lavoro. “Luft” è dal canto suo più ordinaria, mentre la chiusura di “Ubenævnt” spariglia le carte costruendo un muro di suono ottuso e pieno di cambi di traiettorie (pensate a una sorta di composizione hard-jazz performata da un gruppo black metal), laddove prima s’era passati attraverso il tappeto sonoro dai toni quasi meditativi di un’estenuante “Vand”. Per coraggiosi. (Maurizio Inchingoli)