Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

SEIN, The Denial Of Death


 

I Sein nascono da un’idea di Francesco Begotti (Zeit, Dødehender, Anbruch, As The Sun) ed Emanuele Barban (As The Sun), cui si sono aggiunti a dar man forte per le registrazioni di questo The Denial Of Death Nicolò Gerotto (Maat Mons) e Sebastiano Busato (Zeit, Anbruch, Dødehender, 400colpi): l’obiettivo è rendere omaggio al death metal melodico di scuola scandinava, cioè al mitico suono di Gothenburg. Non una sua mutazione o qualche filone derivativo, non una sua attualizzazione o rivisitazione alla luce di un piglio hardcore o chissà cos’altro come accade ormai da venticinque anni a questa parte, qui si guarda proprio alle origini del genere e alle basi cui si dichiara amore in modo tanto diretto quanto sincero. Quindi, come dicevamo poco sopra, nessuna operazione di restyling per rendere il tutto appetibile per un pubblico moderno, ma una vera e propria opera filologica dettata dall’amore per un suono che ha segnato e ha permeato nel dna i musicisti coinvolti, così che oggi sono assolutamente credibili nelle vesti di svedesi in trasferta nel Belpaese. Questo fa sì che tutto giri come ci si sarebbe aspettato al tempo e con tutti gli accessori auspicabili (compreso un cameo di Nicola Manzan con il suo archetto) per offrire all’ascoltatore un giro di giostra che finisce per riportare dritti agli anni Novanta grazie a sei brani che stanno in piedi sulle proprie gambe e non faticano ad entrare in mente. Se si aggiunge che il logo della band è opera di un tal Christophe Szpajdel, non a caso soprannominato Lord Of the Logos perché ne ha disegnati alcuni dei più famosi della scena metal mondiale, si capisce facilmente come questa sia una win win situation. In fondo, quando si gioca a carte scoperte come in questo caso e non si finge di alterare una ricetta, soprattutto lo si fa con la giusta convinzione e cognizione di causa, la scelta se apprezzare o passare sta solo all’ascoltatore e alla sua voglia di lasciarsi andare insieme ai musicisti. Personalmente, seppure saturo di band che a cavallo tra i due millenni hanno riproposto e depredato questo suono in lungo e largo, così come degli stravolgimenti molto spesso poco felici operati da alcuni dei suoi ideatori, ad un quarto di secolo di distanza non ho faticato a farmi coinvolgere dai Sein e ad apprezzare senza remore questo parco tematico, fino a dargli un posto fisso nei miei attuali ascolti quotidiani.