Segreti troppo custoditi: Minimo Vitale
Aosta, città dove tutto appare ordinato, benestante e soprattutto conformista ma in realtà il fuoco cova sotto la cenere anche qui, anche ora. Incontro Alberto Neri negli studi della RAI Radio Regionale dove lui è stato invitato a presentare il prossimo live dei Minimo Vitale, quintetto insieme dal 2017 con stella polare nei Massimo Volume e l’egida di Marlene Kuntz, concerto/evento multimediale in programma al Teatro Splendor di Aosta nell’ambito della Saison Culturelle 2024/25 il 15 febbraio. Parte l’intervista con Nora De Marchi, conduttrice del programma culturale valdostano, e cosa fa Alberto Neri? Si mette a parlare di lotta partigiana, gli ottanta anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, della cacciata dei nazisti, di Resistenza in Valle d’Aosta, di punk e sì, infine…anche del loro concerto. Stacco: la regia manda “Cabine Telefoniche Dismesse” scelta dal loro album d’esordio del 2023, un tiratissimo pezzo alternative rock italico di classe, canto declamato, poesia e istantaneamente mi aggiungo ai fan di Minimo Vitale.
Il cd, “minimovitale”, titolo in minuscolo tutto di seguito, conferma l’energia, la poetica e l’intenzione militante del progetto aostano dall’incipit di “Blu P.E.C. (piccola efficace conversazione)”, dalle reminiscenze psichedeliche con filtro Hüsker Dü, a “Parainphernalia” (cito: “un conflitto sulla soglia di casa è il vaso di Pandora della mia generazione”), musicalmente al crocevia fra Dead Kennedys e Offlaga Disco Pax, con le chitarre di Luca Consonni e Josy Brazzale a sfidare la voce di Alberto Neri. Cuore dell’album, “Cabine Telefoniche Dismesse” recita una teoria di immagini emblematiche per una generazione adulta che non si arrende al degrado delle cose come dei sentimenti (“solo una sequenza di cabine telefoniche dismesse, ordinate, coperte, allineate come da parata militare pronte a scattare sull’attenti al suono del gettone che precipita nel recipiente”) quando improvvisamente il tempo si spezza, il paesaggio sonoro del brano muta tramite il ricordo di un amore perduto in una progressione strumentale chitarristica eccellente per qualità tecnica e trama sonora. Segue “Una Prodezza al Giorno” riflessione sul destino personale del protagonista, di tutti noi, quando si è al bivio fra scegliere di mollare (“gettare la spugna”) e la perseveranza (“continuare a diffondere il verbo”), ed anche questo è un gran pezzo, teso, urgente dove il gruppo “senza girarci in tondo” è in assoluta simbiosi con delirio sonico finale. “El Señor Ban” è cantata metà in spagnolo, metà in italiano, risultando al dunque una bella presa per il culo del machismo imperante, con la batteria di Alessandro Longo e il basso di Davide Torrione sugli scudi. L’accoppiata di brani che chiudono l’album, “Thierry” e “La Casta”, sono una summa del suono post-punk (fra Wire e Magazine) di Minimo Vitale, anfetamina allo stato puro e testi politicamente espliciti per due pezzi che non avrebbero certo sfigurato nella programmazione di Radio Alice, anno 1977: “Casta. Casta! Balocchi? Fregnacce! Qualunquisti? Celoduristi! Ti piace adesso la tua casta? Non ti stupire poi se c’è chi spara a vista, ottenebrati dalla casta, la più mesta, dir si voglia. E che Dio ti assista”. Notevole! Fossero cresciuti in quel di Bologna o Torino, non sarebbero un best kept secret, ma una band straconosciuta per tutto il potenziale che hanno in serbo. Dal nord-ovest facciamoci allora raccontare questa bella storia di Resistenza Creativa.
Alberto, cominciamo dall’inizio. Cosa facevate prima della nascita del progetto Minimo Vitale, eravate già nel giro punk-hardcore aostano dei mitici Kina?
Alberto Neri: Ciao Toni! Innanzitutto buon anno a tutti i lettori di The New Noise e grazie per l’attenzione, ne siamo onorati! I leggendari Kina sono stati uno stimolo importante per i musicisti in erba valdostani, ma in verità i nostri esordi appartengono a un periodo successivo, a partire dagli ultimi vagiti della new wave. I primi sviluppi importanti sono arrivati soprattutto con l’epoca d’oro del rock in Italia, gli anni Novanta. Decisivi per chi doveva scegliere se passare di tanto in tanto qualche ora in garage giusto a strimpellare o, come nel nostro caso, decidendo di investire il proprio tempo libero imparando a suonare sul serio, con tenacia e costanza.
Quando, come e su iniziativa di chi nasce Minimo Vitale?
Nel 2017, su mia iniziativa e sul “come” è necessario un preambolo: vedi, dopo molteplici esperienze in gruppi base ero piuttosto disilluso… vuoi per il crescente disinteresse generale nei confronti del rock, vuoi per le difficoltà a portare in giro brani originali per formazioni non professionistiche e quindi sconosciute, mettici pure questioni personali e anagrafiche, ecco… avevo deciso di farmi un ultimo regalo: confrontarmi con il repertorio e l’approccio vocale a mezzo “spoken word” di una mia fissa, un preziosa band seminale, i Massimo Volume, pressoché sconosciuti in Valle d’Aosta. “Diffondere il verbo”, la parola d’ordine. Un semplice progetto “a termine”. Portato a casa, con grossa soddisfazione. È che nel frattempo ci siamo accorti che fra me e i musicisti che mi accompagnavano in questo progetto era scattata un’alchimia importante… quel tipo di magia che, suonando insieme, percepisci poche volte nella vita. E, glielo devo, cruciali sono stati proprio i miei compagni di gruppo: hanno sostenuto fin da subito le potenzialità di eventuale materiale autografo.
Abbiamo cominciato a lavorarci nel 2019, i successivi due anni di forti restrizioni dovute al Covid e un cambio di formazione obbligato ci hanno frenato, ma non ci siamo mai persi d’animo, lavorando da casa. E nel 2022 si sono visti i primi risultati di livello, la vittoria a “Rock Targato Italia”, conseguita suonando dal vivo, è stata determinante per confermare le nostre sensazioni. Un vero e proprio spartiacque.
Massimo Volume/Emidio Clementi sono un vostro, sicuramente un tuo, riferimento sostanziale, ma daccene anche altri riguardo a band/artisti per affinità o per semplice amore.
La nostra fortuna è quella di essere trasversali ed è una manna dal cielo per chi ha deciso di non porsi limiti di genere. Per quanto mi riguarda, Lou Reed è il mio primo mentore: scrittura e temi trattati sono stati fondamentali per la mia formazione, come il punk primordiale e la sua naturale evoluzione negli Ottanta. Fra di noi c’è chi arriva dagli Smiths e dai Cure, chi ama l’acid-jazz come il drum’n’bass o chi predilige la psichedelia progressive di Steven Wilson. Ma potrei andare avanti per ore…
Parliamo di Aosta, quali spazi offre a realtà antagoniste come la vostra? E vieppiù r-esiste una scena underground in città e provincia?
Senza peli sulla lingua: nessuno spazio. Si tratta di un trend nazionale, ma qui è altresì amplificato. Non vi sono locali prettamente dedicati e, anche a causa di restrizioni discutibili, chi ci prova viene immediatamente stroncato. Qualche… bar/ristorante… offre musica dal vivo, prediligendo situazioni acustiche o cover band. Nel 2024 abbiamo suonato quasi solo al di fuori dei confini regionali, anche grazie alle partecipazioni a importanti contest nazionali, come “Musicultura” a Macerata: hanno dimostrato notevole coraggio nel selezionare, con assoluta convinzione, un progetto come il nostro in questo momento musicale storico. Siamo stati anche alle finali Nord-Italia di “Sanremo Rock”, tenutesi a Ferrara. Per quanto riguarda la scena underground locale, ho intravisto qualche timido tentativo di rinascita rock’n’roll da parte di formazioni giovani, ma è presto per dire se hanno buone intenzioni. Solo il rap, come ovunque, consta di parecchi adepti: ma spesso in solitudine, con le basi… e nelle tavernette degli amici… La sensazione è che manchi coraggio.
Come elaborate le composizioni? Tu arrivi in studio con i testi già pronti o è un lavoro collettivo in-progress ?
Lavoriamo nell’unico modo che ritengo possibile, forse è un mio limite ma così stanno le cose: si parte da un riff, da una sensazione, da un’improvvisazione strumentale. Quando il pezzo comincia a prendere forma, allora e solo allora posso lavorare sul testo! È basilare partire da ciò che mi comunica la musica, le tematiche nascono assolutamente dalle visioni che affiorano durante le prove.
Nei vostri pezzi si citano, con un pantheon assai ampio, Borges, Gino Strada, Papa Paolo VI, un romanzo generazionale per antonomasia come “Porci con le Ali”e Matteo Marconi. Intanto svelaci chi è Matteo e poi quando la tua passione per la scrittura si è indissolubilmente intrecciata alla musica. sei impegnato anche in una tua produzione esclusivamente letteraria? Quali sono i tuoi interessi letterari?
Matteo è l’Amico Geniale. Colui che nasce poeta ma sceglie l’anonimato. Ha un talento innato per lo scrivere ma non intende fruirne. Irrazionale, imprevedibile, focoso, romantico, disilluso: lo adoro! Una di quelle persone che ho avuto la fortuna di conoscere in giro per concerti, la mia più grande passione. Ed è proprio il confronto con una miriade di personaggi entusiasti durante ai live per me sacri, la costanza nel coltivare quelle amicizie che concedono pezzi e storie formidabili delle loro esistenze, che mi ha spinto a scrivere. L’Umanità, quella vera, è l’unico, fondato, motivo. La vita vissuta è il mio maggiore interesse e, di conseguenza, divoro biografie, ho appena finito “Cose che i miei nipoti devono sapere” di Mark Oliver Everett (deus ex machina degli Eels, ndr), la consiglio vivamente.
Per quanto riguarda una mia produzione letteraria, beh… direi proprio di no, non mi sento grado di arrivare a tanto: già mi ritengo fortunato di poter racchiudere degnamente un racconto nella forma-canzone, quello è il mio terreno di gioco e al momento non mi sento di chiedere altro. Mi basta per sentirmi un privilegiato.
Il concerto performance/ multimediale “Aggrappati al Minimo Vitale” con tema La Resistenza di cui sarete protagonisti il prossimo 15 febbraio al Teatro Splendor di Aosta vedrà il coinvolgimento di numerosi ospiti ma anche e fin d’ora quello del pubblico. In dettaglio come funziona questo sofisticato progetto?
Ci sentiamo pronti a confrontarci con un vero e proprio spettacolo e, soprattutto, era diventata francamente intollerabile l’invisibilità della quale “godiamo” all’interno dei confini della nostra petite-patrie. La Saison Culturelle è la manifestazione più importante della nostra regione, e rappresenta una ghiotta occasione per fare sapere che noi siamo qui, oggi! proprio dove nascono le nostre storie.
L’attuale scenario mondiale è, per usare un eufemismo, preoccupante… e, accoppiato alla ricorrenza degli ottanta anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, configura il momento adatto a presentare una proposta che, a partire dal nome del gruppo, è essa stesso sinonimo di Resistenza. Il coinvolgimento del Coro delle Penne Nere non è certo stato fatto “a caso” e ci offre l’opportunità di un’inusuale quanto stuzzicante collaborazione. L’Open Call che abbiamo lanciato è nell’ottica di coinvolgere proprio il pubblico, aiutandoci a vicenda, per mezzo di immagini e video che potremo utilizzare nel visual show architettato da validi professionisti locali. Gli altri ospiti sono musicisti di talento e compagni di viaggio congeniali, uno di essi è Giuliano Danieli, batterista dei Minimo Vitale fino al 2020.
Ultima domanda d’obbligo: c’è un nuovo album in cantiere ed al di là di questo che programmi avete per il 2025?
Siamo entrati in studio proprio a fine dicembre, stiamo registriamo cinque brani, quattro originali e una cover/mash-up che comprende La Crus e Prodigy.
Siamo cresciuti a livello compositivo e, inoltre, l’introduzione dosata ma mirata dell’elettronica a cura del nostro batterista Alessandro Longo è un’innovazione che ci ha offerto nuovi scenari.
Non nascondo che siamo eccitati, abbiamo presentato i pezzi nei nostri due ultimi live e i feedback ricevuti sono stati, a dir poco, ottimi!