Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

SECRETS OF THE MOON, Black House

Sun, già vecchio di 5 anni, è un disco difficile da dimenticare, perché mostra un gruppo black metal in mutazione, sofferente: i pezzi sono torbidi, un ibrido non fotografabile di passato, goth e forma canzone. Black House, invece, è pop-rock con qualche tinta cupa. Sun è nudo, Black House è vestito. Un po’ mi scoccia vedere i Secrets Of The Moon uscire da quella terra di nessuno dov’erano finiti, ma d’altro canto possono fare quello che vogliono loro (spero), perché dopo settecento anni che sono in giro non hanno nulla da dimostrare. In questo caso hanno deciso di comporre buone canzoni, fine: non proprio roba radio-friendly, ma comunque a livello di accessibilità (e non solo) ormai siamo dalle parti dei Dool, se vogliamo restare in casa Prophecy. Quando qualcuno prova a guardare più indietro per trovare delle influenze, inevitabilmente tira fuori Fields Of The Nephilim, Mission, Cure… Io non sarei così specifico (ripeto: non parliamo di ragazzini che copiano), ma è chiaro che non si percepisce più la parte black metal della band, e quel tipo di negatività lì mi manca un sacco. È anche vero, a essere onesto, che è un po’ un casino non mettere in macchina pezzi come “Sanctum” (riff orientaleggiante, chorus assassino) e “Veronica’s Room” (altro chorus ruffiano, quasi quanto la sezione ritmica) e non cantarli. Poi ne rimangono altri sei, che altro non sono che singoli mancati per un soffio (“Cotard”, a suo modo e nonostante il testo, è una buona, languida ballad). Dunque non ci si può lamentare.