Seattle sounds: Ten dei Pearl Jam
Senza indugio alcuno né giri di parole, ho sempre pensato che Ten sia l’album che si è dato il voto da solo.
Il debutto dei Pearl Jam, pubblicato il 27 agosto 1991, ha una forte cifra innovativa per l’epoca: è un album fuori dal tempo, nel quale sono rintracciabili delle forti influenze puramente hard rock, qui rivisitate in chiave cupa e riflessiva, sia nel sound che nelle tematiche. Suona nuovo anche rispetto alla cosiddetta scena grunge, più orientata a contaminazioni con punk e metal (si pensi ai Mudhoney o agli Alice in Chains). Inoltre, è invecchiato piuttosto bene e ha fin da subito stabilito uno standard decisamente alto per la band stessa. Personalmente, l’ho acquistato qualche tempo dopo, nel 1997. Avevo dodici anni e penso tutt’oggi che nessun disco quanto Ten mi abbia spinto a farmi delle domande sul senso della vita.
Rabbia e follia sono i temi portanti: nonostante tutti nei Pearl Jam avessero quasi trent’anni, la loro ribellione qui ha un che di adolescenziale. Dal serial killer in fuga in “Once” al dramma familiare in “Alive”, alla ragazzina rinchiusa in un ospedale psichiatrico dalla propria madre in “Why Go”, passando per il senzatetto che sogna di riprendere in mano la sua vita in “Even Flow”, fino al giovane suicida in “Jeremy”, siamo di fronte a un album viscerale, intenso, crudo, che nasce in un Paese tormentato dalle proprie contraddizioni (la felicità come diritto costituzionale ma un sistema sanitario che lascia indietro i meno abbienti, per dirne una). La guerra del Golfo è in atto proprio durante la stesura dei pezzi (la nona traccia, “Garden”, decisamente introspettiva e che trasuda morte, fa riferimento a un giardino di pietra, a tutti gli effetti un cimitero ove riposano soldati caduti in guerra) e i rimandi a una visione del mondo alternativa a quella imposta dai media sono espliciti e molteplici.
Cantante a parte, gli altri musicisti hanno tutti un po’ di esperienza nella scena, ma è con Ten che entrano a pieno titolo nella leggenda, e con un contratto discografico con una major (fatto che suscita qualche polemica). In particolare Stone Gossard e Jeff Ament erano stati nei Mother Love Bone, il cui frontman, Andrew Wood, aveva perso la vita a 24 anni nel 1990 per un’overdose di eroina. Non il miglior auspicio di sempre, si può dire, ma ciò che è scaturito da una perdita così importante ha del miracoloso.
Ten è un album genuinamente rock che, anche nella produzione, deve molto agli anni Ottanta: il sound è a tratti ovattato e ne esce abbastanza penalizzato, tant’è che la reissue del 2009, curata da Brendan O’Brien, produttore degli album successivi dei Pearl Jam, ha un nuovo missaggio. Risente degli anni Ottanta in particolare la super ballad “Black”, uno dei brani più significativi della band: intrisa di senso di perdita, solitudine e nostalgia, dà prova dell’enorme carica espressiva della voce di Eddie Vedder, aspetto che, a mio parere, ha sempre fatto la differenza. Prima di Ten, il benzinaio di San Diego (originario di Evanston, sobborgo di Chicago) si era cimentato con qualche gruppo minore, per essere poi catapultato nell’olimpo del grunge grazie al duetto con Chris Cornell su “Hunger Strike”, nel primo e unico album dei Temple Of The Dog.
Sono presenti in Ten anche momenti più sperimentali: “Oceans” ha un vago sentore dream rock, mentre “Release”, oltre a riproporre sotto un’altra luce la tematica già esposta in “Alive” (la perdita del padre), conferisce all’album una degna chiusura, profonda e intensa. La sua “coda” altro non è che una traccia nascosta chiamata “Master/Slave”, già presente all’inizio come intro di “Once”.
Mi riesce difficile tirare le somme nel parlare di un disco così importante per me. Ten è di sicuro una pietra miliare del rock anni Novanta, ma non solo questo: è l’opera prima di una band che è rimasta sulla cresta dell’onda ed è anche un manifesto che travalica i confini generazionali, le cui tematiche, nel bene e nel male, risultano attuali tutt’oggi, esattamente trent’anni dopo.
Tracklist
01. Once
02. Even Flow
03. Alive
04. Why Go
05. Black
06. Jeremy
07. Oceans
08. Porch
09. Garden
10. Deep
11. Release