SCHAMMASCH, Triangle
Sono in ritardo con Triangle degli Schammasch, formazione svizzera che avevo intervistato quand’era uscito Contradiction. È uno dei dischi di metal estremo da ascoltare quest’anno, ma è pure un triplo concept album, quindi non proprio qualcosa che si digerisce in dieci minuti per poi scriverne, anche perché la band non butta giù testi semplici.
Non si può dire che gli Schammasch siano prog, però sono uno di quei gruppi che a un certo punto ha necessitato di più complessità. I brani sono lunghi e articolati, come succede sempre quando c’è un concept di mezzo, ma per fortuna non stancano, mi verrebbe anzitutto da dire per merito di un batterista molto bravo, potente quando serve e al contempo in grado di rendere più solenne e sacrale il sound della sua band, una combinazione di black, death e doom metal che spesso ha condotto a paragoni con Behemoth da un lato e Secrets Of The Moon dall’altro. Gli Schammasch sanno essere atmosferici e hanno lo zolfo nel sangue, tanto che non sentono il bisogno di correre sempre a velocità siderali per trasmettere negatività, una delle cose che sanno fare meglio. Sono comunque molto validi anche quando partono in bomba con doppia cassa e riff omicidi.
Discorso separato per il terzo disco di Triangle, nel quale il gruppo, ambizioso e coerente, si prende il rischio di scoraggiare qualcuno aggiungendo altri 33 minuti ai 66 precedenti, come se stessimo guardando il director’s cut di qualche kolossal. Provo a spiegarmi meglio: per quanto riguarda i testi, il lavoro si fonda su “misticismo” del cantante degli Schammasch, il quale, in un continuo cambio di registri espressivi, ci racconta della sua morte (o del suo annullamento) e della sua rinascita, che grosso modo lo vede più forte di prima e in qualche modo in grado di sciogliere o comporre dentro di sé le “contradictions” del passato. Ecco, questa storia si esaurisce già alla fine del secondo “atto” di Triangle: nel terzo, infatti, la band passa a una specie di ambient con un retrogusto rituale e primitivo, in cui drone e silenzi giocano un ruolo molto importante, come se fossimo stati condotti in un qualche Aldilà, in una dimensione superiore, fino a quando si arriva a “The Empyrean”, dagli accenti doom, durante la quale riemerge la voce, questa volta alle prese con uno spoken word che altro non è che un tirare le somme del processo di trasformazione affrontato in precedenza.
Restando in ambito metal, ci troviamo decisamente di fronte a una delle band protagoniste del 2016.