SCHAMMASCH
Suoneranno presto all’Helvete Underground, evento di cui siamo media partner, e hanno appena pubblicato per Prosthetic un disco molto denso e non facilmente assimilabile, anche per quanto riguarda le parole. C’è sicuramente un elemento “progressivo” nella loro musica, anche se sarebbe più opportuno parlare di un tentativo di sintesi di alcuni modi di suonare metal estremo, che è un po’ il parallelo del loro cercare di unire opposti anche dal punto di vista dei testi. Non si spostano confini o si provano contaminazioni inedite, ma si cerca di ricavare qualcosa di potente da ciò che esiste già nel sangue di chi ascolta queste musiche. Siamo andati ad approfondire…
Schammasch (dio mesopotamico del sole) in origine è scritto “Šamaš”, una parola palindroma. Tenendo presente il vostro nuovo album, è divertente accorgersi che siete stati ossessionati dagli specchi sin dall’inizio.
C.S.R (chitarra, voce): Forse è una specie di mio feticismo personale. Ho dipinto molto, in passato, e anche quando riguardo i miei vecchi quadri noto questo discorso della doppiezza, non so dirti esattamente perché. Mi affascina. Riflettere è un potere-base, uno davvero importante per me.
Viviamo l’epoca del multitasking, di internet e degli smartphone, un’epoca dove ogni disco è disponibile gratis. Forse a causa di tutte queste cose la nostra capacità di attenzione è al suo peggio, ma voi pubblicate un doppio album, per di più un concept album. C’è qualcosa di più estremo di questo?
Beh, possiamo pensarci. L’arte non serve a costruire gabbie, ma a sfasciarle. Questi sono tempi che richiedono un passo indietro, verso le virtù della contemplazione e della devozione. Quest’album, però, non ha a che fare in primis con questi aspetti. Sarà compito del terzo affrontarli.
Contradiction è pieno di dettagli sonori e avete curato ogni aspetto: i testi sono complessi e collegati a molti temi filosofici (coincidentia oppositorum, sofismo, verità….), l’artwork è opera del genio Metastazis e si può anche percepire il salto in avanti in termini di produzione. Quanti mesi delle vostre vite ha preso tutto questo? Quanto tempo avete passato in studio?
La fase di scrittura è durata tre anni per noi. Un numero infinito di cose è stato rivisto di volta in volta, il processo nel suo insieme è stato estremamente duro. Il tempo vero e proprio passato in studio corrisponde a tre settimane, mixing e mastering esclusi, solo registrazioni. Ho anche realizzato alcune cose in più nel mio studio casalingo, dopo essere stato in quello vero e proprio. Quindi, insomma, è stata una faccenda davvero molto lunga.
Il rovescio della medaglia di tutta questa ricchezza è il rischio di perdere qualcosa in termini di sincerità e feeling, cose molto importanti se si parla di metal estremo. Lo avete sentito questo pericolo quando componevate?
Non la penso così. Di sicuro ci sono stati momenti in cui tutto veniva rimesso in discussione fino alla radice, ma credo che questo sia il pane quotidiano dell’artista. Però non c’è mai stato un pericolo reale di quello che dici tu. Confido nella mia capacità di trovare tutto ricomposto di nuovo quando comincio il lavoro finale di realizzazione del progetto. E ritengo di essere troppo attento ai dettagli per pubblicare un album che non sento “completo” in ogni senso al momento vero e proprio della sua realizzazione.
Scrivere recensioni è un mestiere difficile. Nel vostro caso molta gente ha detto: “Ok, c’è un lato progressive e ce n’è uno black metal: allora parliamo di Deathspell Omega e Secrets Of The Moon!”. Non sento molto queste somiglianze. Come vi vedete nella “federazione” metal? Outsider?
Forse. Non vediamo Schammasch come parte di un preciso sottogenere o di una precisa scena. I recensori di solito sono ossessionati dai paragoni, che spesso sono buffi e/o non necessari. Non vogliamo limitare la nostra musica ai vari dogmi di genere. Facciamo semplicemente quello che sentiamo come giusto per noi.
In Contradiction la voce cerca di evitare ogni cliché. Come hai lavorato su quest’aspetto negli anni?
Non mi esercito davvero, il modo in cui canto si è sviluppato naturalmente negli anni, o per merito dell’ispirazione o per le cose che ho provato. Ad esempio, ho iniziato a fare quella roba tipo coro per una cover di Stabat Mater (uno dei progetti solisti di Mikko Aspa) che di solito suonavamo dal vivo. Sono fortunato ad avere una voce versatile e mi piace sfruttarla in tutte le maniere.
Alla Prosthetics hanno caricato “Split My Tongue” su YouTube, usandolo per far girar la voce sul vostro album. Abbiamo anzitutto un testo molto forte (e speculare!). Inoltre mi piace il riff lento e pesantissimo all’inizio, che si fonde bene anche con la voce, poi però abbiamo anche la controparte black metal, un coro e campionamenti di qualcosa che va in pezzi. In che modo rappresenta l’album secondo te? In generale, che dice di voi?
Penso che tutte le canzoni in qualche modo rappresentino l’album. Ciascuna ne riflette un aspetto. Per me, “Split My Tongue” è un pezzo heavy rock piuttosto catchy. Penso sia per questo che l’etichetta lo ha scelto per scopi promozionali. Voleva usare “Provoking Spiritual Collapse”, ma abbiamo detto di no per vari motivi. La cosa speciale di “Split My Tongue” è che contiene le parti più lente e più veloci del disco. Per tornare alla tua domanda, la canzone è piena di esecrazione e ripugnanza e in un certo senso è pensata come un simbolo di rassegnazione alla paura e all’autodistruzione, in un altro a una personale necessità di raggiungere il grado zero assoluto per trovare l’essenza del sé.
Suonerete all’Hevete Underground, un festival imperniato su band svizzere di area estrema e black metal. Viktor Santura (Triptykon) ha prodotto, mixato e fatto il mastering del vostro album. Non voglio parlare dell’influenza dei Celtic Frost sul vostro sound, ma voglio solo sapere come un metal kid svizzero vede(va) i Celtic Frost.
Non ho modo di sorprenderti, qua. Io amo i Celtic Frost. Ciononostante c’è voluto un po’ di tempo per me per scoprirli, da giovane. E quando Monotheist uscì, non mi piacque, non fino a un po’ di anni dopo, quando gli diedi una seconda possibilità. Ora è uno dei miei preferiti di sempre. E certamente io ho grandissimo rispetto per Tom G. Warrior. Quest’uomo è uno dei veri creatori del metal estremo e uno dei veri artisti all’interno di questo genere, contrariamente a quanto uno potrebbe capire col trend attuale, che è quello di essere suoi “haters”. Troppo facile criticare una persona che è parte di questa scena sin dall’inizio e che è passata attraverso tante fasi musicali differenti come lui. Intanto è ancora qui e sta ancora facendo arte fuori dal comune.
Condividete un chitarrista coi Blutmond. Li conosco perché stanno su una delle migliori etichette italiane, la code666. Sono anarchici e imprevedibili. Che cosa rubereste loro?
Forse il loro Campari (ride, ndr). Non lo so. È una musica troppo diversa dalla nostra, la loro, quindi non posso davvero risponderti. In ogni caso, sono un mucchio di stronzi coraggiosi e mi piacciono.
Mi collego alle due domande precedenti. Useresti il termine “scena” nel parlare di metal estremo in Svizzera?
Sì, forse. Anche se è piccola, ci sono alcune persone attive in giro. E sembra in crescita, se pensiamo a 5 anni fa. Ma non sono molto coinvolto in questo, non è importante per me.
Come porterete live Contradiction? Ci sono chitarre acustiche, tastiere, tanti livelli di suono…
Sostanzialmente usiamo sample dal vivo, e funziona bene. Gli ultimi due show sono stati meravigliosi e siamo pronti a girare per l’Europa a ottobre.