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SAVING KAISER, Digital Snowflake

Il fiocco di neve (digitale in questo caso) rimanda senza grosse difficoltà interpretative a noti concetti di unicità, irripetibilità, caos e geometria. La computer music, e la conseguente elaborazione di suoni analogici “reali”, generati nello spazio fisico da strumenti acustici, permette un’esplosione di possibilità compositive vertiginosa. Nel caso di Digital Snowflake, pubblicato per la celebre Feral Note all’inizio di quest’anno, più che momento compositivo classico, differito nel tempo e slegato da un successivo atto performativo, parliamo di vera e propria improvvisazione, in cui il risultato sonoro finale non è frutto di un ragionamento a priori ma di una relazione autoriale condivisa, fra pari, da Thomas Wörle e Roman Rofalski.

Il percorso pregresso dei protagonisti merita sempre una piccola digressione, anche per poter delineare di loro un profilo più tridimensionale e approcciare il disco collaborativo con maggiore consapevolezza. Inoltre, come spesso accade in corso di improvvisazioni così radicali e dinamiche, sapere il passato artistico dei partecipanti è un modo per decodificare le dinamiche relazionali che si sviluppano durante l’ascolto.

Wörle è un batterista e ingegnere del suono tedesco, attualmente con base a Colonia. Ad una rapida ricerca salta all’occhio l’estrema varietà di progetti in cui è coinvolto, sia come performer che come manipolatore e/o registratore di suoni. All’interno del vasto numero di dischi e brani collaborativi si nota però una certa polarità: da un lato il (free) jazz più “ortodosso”, dall’altra una ben più che evidente passione per drum n’ bass ed elettronica berlinese ad alti BPM.

Droff, pseudonimo artistico di Roman Rofalski, è un compositore, pianista e musicista elettronico attualmente professore di pianoforte ad Hannover. Anche il suo percorso è caratterizzato da una certa polarità: mondo accademico classico e contemporaneo, accostato ad un interesse più o meno sotterraneo per il clubbing e (autodefinita) elettroacustica sui generis. Relativamente recenti (2020 e 2022) sono il suo debutto più “manipolato” Loophole, e la collaborazione nella compilation, targata sempre Feral Note, Klangbox IV nella quale quattro artisti esplorano le diverse possibilità sonore dei loro strumenti acustici elettronicamente “estesi”. Entrambi sono certo ricchi di intuizioni interessanti ma, confrontati a posteriori con Digital Snowflake, peccano un po’ per ingenuità nell’uso della tecnologia e nell’accostamento non perfettamente integrato fra pianoforte e comparto elettronico.

I quattro “Snowflakes” digitali sono il risultato dell’incontro/scontro di queste due personalità e del loro retroterra artistico. Il tutto è, lo si nota con piacere e anche un pizzico di stupore, maggiore della somma fra le parti e la motivazione radica nell’elemento improvvisato, nell’assenza forzata di razionalizzazione compositiva. Per gli ascoltatori più vicini alle realtà nostrane, stiamo orbitando in galassie affini a quelle dei dTHEd e alla loro hypermusic obliqua (vedasi hyperbeatz vol.1, edito da Boring Machines nel 2019). Nell’ambito della moderna elettroacustica, in questi spazi ibridi fra ortodossia melodica e approcci underground mutuati da rave culture ed elettronica, il rischio spesso è quello di imbattersi in un mero accostamento di stilemi, come se il forzare un rapporto fra due cose antitetiche fosse di per sé il contenuto dell’atto artistico. Purtroppo non è così semplice e se non fosse per quel pregevole nucleo di improvvisazione pluristratificato su cui si fonda Digital Snowflakes, anche questi diciassette minuti di musica ricadrebbero in simili tentativi forzati. È come se le macchinose e aprioristiche scelte mutuate dalla secolare tradizione compositiva faticassero ad integrarsi con oggetti alieni come una drum machine o un sintetizzatore. Il brano creato a tavolino appare opaco, impenetrabile. Aprirsi al vasto universo delle possibilità performative, nell’atto, nel momento, è la chiave per rendere vitale il risultato dello scontro fra personalità artistiche, perché questa intenzionalità traspare spontaneamente attraverso la trama della narrazione musicale.