SAULT, Nine

Da diversi anni a questa parte internet è diventato un posto per gli slogan: inventati, riciclati, attribuiti erroneamente ad un autore piuttosto che un altro. Non è quest’ultimo il punto, ma il fatto che la strada tra pensiero ed elaborazione dello stesso in forma esplicita debba essere percorsa sempre più velocemente, per mezzo di poche parole ma efficaci: gli slogan, appunto. Me ne viene in mente uno in particolare: “L’attesa del piacere è essa stessa il piacere”, frase che ad un certo punto credo sia stata affibbiata anche a mio cugino ma che comunque nel corso dell’ultimo anno ha subito diverse mutazioni in relazione al contesto, che è una cosa normale perché fa parte dell’evoluzione del linguaggio.

Per rimanere, quindi, vicini al linguaggio di internet, ritengo sia l’espressione adatta per raccontare l’ultimo disco del collettivo Sault, Nine, pubblicato il 25 giugno sul loro sito sault.global e disponibile in download gratuito o streaming per 99 giorni dalla sua pubblicazione.

Quello che si è creato intorno ai Sault, soprattutto coi due dischi precedenti, Untitled (Black Is) e Untitled (Rise) (di quest’ultimo parlo proprio su queste pagine), ha assunto una forma di godimento talmente alta da essere appagata già dall’attesa stessa di ciò che potrebbe essere la prossima mossa di questo gruppo di musicisti di cui poco o niente si sa, dall’indubbio talento e dalla manifesta appartenenza al movimento BLM e, in generale, alla politica di rivalutazione della popolazione nera (anche se, ad esempio, nel nuovo disco dei Sons Of Kemet, Black To The Future, è proprio questa rivalutazione a tutti i costi a essere rifiutata, ma magari ne parleremo prossimamente).

Nine arriva a neanche un anno di distanza dall’ultimo dei due Untitled e la formula musicale è sempre la stessa, forse meno danzereccia degli altri ma in ogni caso strutturata sulla necessità di restituire un forte groove intrecciato con Soul, Jazz e R&B, voci femminili a rischiarare quel senso di oppressione volutamente cercato nelle tonalità scure delle melodie e più cori spiritual da “esercito della salvezza” organizzato per combattere la mala politica con le armi che più riescono a gestire al meglio: quelle musicali. Intendiamoci, Nine è godibilissimo e per quanto poco duri, circa mezz’ora togliendo gli inserti poco musicali, riesce a tirarti dentro, ma lo fa con una forza diversa rispetto agli altri, perché decisamente più riflessivo e lento. Il problema, come spesso accade, nasce quando si creano i fan club, trasformando come in questo caso la genuinità degli intenti iniziali, col rischio di creare un fenomeno patinato che probabilmente così non voleva essere (vedi i dischi già a prezzi stellari) e mancando quasi completamente il significato del contenuto.

Va bene diffondere il più possibile messaggi di denuncia e politici, ma andiamoci piano, perché la musica è una cosa seria e i Sault lo sono.