Satyricon: sinestesia in stile norvegese
Satyricon+Munch: questo è il titolo dell’ultima fatica del duo black metal norvegese. Niente fronzoli né orpelli. La copertina dell’album è oltremodo angosciante, il brano, lungo quasi un’ora, è strumentale, e presenta degli elementi decisamente inusuali, tra cui un synth analogico, una viola, strumenti tradizionali norvegesi e finlandesi, ma il risultato è, a mio avviso, perfettamente coerente con un immaginario ben noto in cui la band si muove con disinvoltura da ormai trent’anni. I tredici dipinti dell’artista “parlano”, arrivando quasi a ricoprire il ruolo solitamente affidato ai testi di una canzone. Tra questi spicca “Il Bacio Della Morte”, scelto dalla band come artwork del precedente album Deep Calleth Upon Deep, ma troviamo anche una delle tante versioni de “Il Vampiro”, poi “L’Ansia”, “L’Urna” e “Marcia Funebre”, solo per citarne alcuni.
La mostra si è tenuta presso il Munch Museet a Oslo, da fine aprile a fine agosto 2022, e a inizio giugno, pochi giorni prima che l’album venisse pubblicato, sono andata personalmente a vederla: non mi sarei mai persa l’occasione di assistere alla giustapposizione di due mondi così diversi ma così simili, verso i quali da sempre nutrivo un profondo interesse. Si sa che il black metal è un genere controverso che, in particolare in Norvegia, viene associato a fatti e questioni non esattamente “accettabili”: eppure, è riuscito a farsi spazio all’interno del museo più importante e iconico del Paese attraverso una mostra d’arte dal sapore sinestetico. Assistervi in prima persona è stata un’esperienza forte e totalizzante, e ha suscitato in me delle domande che avrei voluto rivolgere ai diretti interessati: nell’oggettiva impossibilità di scambiare due chiacchiere con Edvard Munch… si è optato per un’intervista a Frost, che si è rivelato essere molto disponibile.
Innanzitutto, ti ringrazio per il tuo tempo. Come stai?
Frost: Molto bene, grazie.
Dunque, il nuovo album Satyricon + Munch è una conseguenza della mostra, come ha affermato il tuo socio, Satyr. Come è stato il processo creativo, dalla tua prospettiva?
È stato tutto molto lungo e impegnativo. Penso sia iniziato quando stavamo lavorando a Deep Calleth Upon Deep e cercando un tema per la copertina di quell’album: Satyr ha trovato quell’opera (“Il Bacio della Morte”) interessante anche da un punto di vista personale, ed è strettamente connessa al feeling e al significato dell’album. Da quel momento, Satyr ha approfondito molto la figura di Edvard Munch come artista e quanto a visione del mondo; è un artista che lui ha sempre apprezzato, ma da quando ha deciso di usare quell’immagine come copertina, Munch ha assunto un ruolo prioritario nella sua mente. Poi, durante un’escursione nella foresta, credo nel 2018, ha in qualche modo compreso che voleva fare qualcosa con e a proposito di Munch e il suo mondo, fatto di angoscia, oscurità e un immaginario controverso. Una volta emersa questa consapevolezza, ha dato inizio al processo che ha poi portato alla mostra e infine all’album. Quando ha cominciato a comporre per la mostra non aveva idea di che tipo di musica avrebbe scritto né dove l’avrebbe portato da un punto di vista creativo, non sapeva se sarebbe diventato un album dei Satyricon o qualcosa di più personale per lui in quanto compositore, ma sapeva che avrebbe influito sulla band e sul futuro della band. Era a tutti gli effetti un territorio nuovo per lui, ma dopo aver composto delle demo ha capito che gli serviva qualcosa di più complesso rispetto al solo utilizzo della chitarra, così ha acquistato un sintetizzatore analogico, uno strumento nuovo che lo ha portato a fare qualcosa di diverso rispetto a ciò che i Satyricon sono stati per oltre vent’anni. Penso che cimentarsi con un nuovo strumento abbia dato slancio alla sua creatività, portandolo a scoprire territori inesplorati. Le demo che ne sono derivate sono, a mio avviso, qualcosa di completamente nuovo per noi: non avevo mai sentito nulla del genere, ma allo stesso tempo tutto suonava inevitabilmente “Satyricon” alle mie orecchie. A poco a poco ha preso la forma di un brano musicale a tutti gli effetti, e lui si è reso conto che sarebbe stato la base del nuovo album dei Satyricon. A un certo punto ha coinvolto anche me e mi sono occupato delle percussioni. Ogni elemento è in forte connessione col resto: se ci pensi, per quanto suoni poco convenzionale e molto lontano dal “tipico” album dei Satyricon, ha tutte le caratteristiche giuste per esserlo. Ciò che era rimasto in ombra nei lavori precedenti, ora è parte integrante, se capisci cosa intendo. Ha la nostra “firma”, quelle specifiche atmosfere ed energie, e alla fine sono solo gli strumenti a essere diversi. Non c’è bisogno di parti cantate. È esattamente come deve essere.
Sono stata alla mostra, quindi ho avuto l’opportunità di fare esperienza diretta di ciò di cui parli. Era la prima volta che il black metal entrava in un museo così importante nel tuo Paese? Voglio dire, pensi che il black metal, oggi, sia più “accettabile” agli occhi della società norvegese in quanto parte della cultura locale?
Per rispondere alla prima parte della tua domanda, penso che sì, questa è la prima volta in assoluto che una band black metal ha un ruolo in una mostra d’arte di questo spessore. E sì, può essere che il black metal stia trovando un suo spazio all’interno di “arene” più grandi, dove prima non aveva accesso. Non so se questo significhi che sia diventato più “accettabile” o ben visto, ma so che abbiamo lavorato molto per far sì che avesse un posto in contesti dove prima non sarebbe entrato. Un museo d’arte è un luogo di esperienze forti, dove si può lavorare sul contesto e sull’atmosfera, sui sensi e sulle emozioni dei visitatori. Il black metal è nato per questo, perciò è adatto a un museo d’arte, ma richiede anche un lavoro di un certo calibro per avere un ruolo significativo. Più che essere accettato socialmente, penso sia una questione di ciò che alcuni di noi fanno in modo da poter avere uno spazio in questi ambiti, almeno, io la vedo così.
Ho sempre pensato che ci sia una sorta di collegamento tra l’estetica di Munch e il black metal.
Oh, sì, assolutamente.
Come se Munch fosse il primo artista black metal, se vogliamo metterla in questi termini.
Sì. Ha senso.
Parlando dell’album, quali sono le influenze non metal a livello strettamente stilistico?
Oh, questo è impossibile da dire. So che gli impulsi e l’ispirazione che Satyr ha avuto mentre stava componendo il disco non avevano molto a che fare con altra musica o con la musica in generale. Penso che la sua principale fonte di ispirazione sia stata Munch e, per certi versi, la storia di Munch, il suo universo. Satyr ha lavorato con le emozioni e le atmosfere che ne derivano, che sono molto particolari. Hanno in un certo senso preso possesso della sua vena creativa: quella musica è una sua reazione ai lavori di Munch. Nel processo non penso abbia ascoltato altro col fine di trovare una qualche spunto ma, piuttosto, che si sia completamente “immerso” nei dipinti e nelle litografie di Munch, a livello profondo, lasciando che lo ispirassero nel creare della musica che potesse funzionare con le opere di Munch in modo tale che vi fosse un reciproco amplificarsi delle due parti, se rendo l’idea… Posso dirti una cosa? Ero alla mostra, ieri, ed era per me la seconda volta che facevo esperienza dell’album e dei tredici lavori di Munch in quel contesto. Ho lasciato che le sensazioni invadessero il mio essere, ed era come se la musica riuscisse a tirare fuori qualcosa in più dai lavori di Munch, che sarebbe altrimenti rimasto nascosto. Intendiamoci: i dipinti e le litografie sono spettacolari di per sé, ma c’è qualcos’altro che emerge grazie alla musica. Sono due mondi strettamente connessi, e non ho alcun dubbio sul fatto che la fonte di ispirazione per Satyr siano state le opere di Munch.
Puoi dirmi qualcosa a proposito della copertina dell’album?
Certo. Ricordo che un giorno, poco prima che la mostra venisse aperta al pubblico, Satyr stava lavorando al mixing previsto per la mostra, che è diverso da quello che si trova sull’album, per ovvie ragioni: l’impianto mette in risalto alcuni aspetti del suono che sarebbe impossibile rendere sull’album. Satyr era molto soddisfatto del prodotto finito, ed era il momento di dedicarsi ad altri dettagli, tra cui trovare una copertina adatta. Non aveva avuto il tempo di pensarci, dato che si era occupato di comporre la musica a tempo pieno, ma era sicuro che non avrebbe usato un’opera di Munch.
Perché era una strada già battuta o c’è qualche altro motivo?
Esattamente. Non avrebbe avuto senso anche perché implicava dover scegliere uno dei tredici lavori esposti. Sarebbe stato troppo ovvio, direi banale (ride, ndr).
Sapevamo per certo che la copertina dell’album sarebbe stata scura. Satyr mi ha mandato una bozza e ho pensato: “Eccola. È lei!”. Ha un sottile riferimento a Munch, ed è perfetta per questo scopo.
Sì, trasmette ansia e riassume esattamente le sensazioni che si provano alla mostra, quindi avete decisamente scelto bene.
Grazie, era proprio ciò che speravamo! (ride, ndr)
Hai dovuto ridefinire il tuo stile per lavorare a questo nuovo album?
Non so se userei esattamente questo termine, ma sicuramente ho cercato una connessione profonda con l’idea che avevamo in mente, attraverso l’uso delle percussioni. Ho cercato di capire quale fosse l’obiettivo di Satyr e il tipo di atmosfera ed energia che il lavoro avrebbe avuto. Siamo andati in studio e lui mi ha brevemente esposto i temi portanti dell’album e ciò che si aspettava dall’elemento percussivo. Non è nulla di complicato, ma bisogna trovare una direzione comune che abbia un senso rispetto al tipo di sensazioni che si vogliono trasmettere, quindi sì, in un certo senso ho adeguato il mio approccio alla situazione.
Okay, abbiamo tempo per un’ultima domanda, quella che voglio farti da tempo immemore: quali sono le tue influenze principali, in quanto batterista? Sono cambiate nel corso della tua carriera nei Satyricon?
Posso dire con certezza che la mia principale ispirazione e motivazione sta nel fatto che ho a che fare con una band, anzi, due (Frost suona anche nei 1349, ndr), in cui posso davvero esprimere me stesso; suono con degli ottimi musicisti e posso evolvermi artisticamente, e andare ogni giorno in sala prove significa molto per me, e mi ispira più di qualsiasi altra cosa. Non voglio diventare come qualunque altro batterista, non voglio misurarmi con ciò che è stato fatto da altri, non voglio diventare il più veloce. Io voglio essere un bravo batterista per le mie band, voglio crescere, migliorare ed essere all’altezza. Naturalmente mi ispiro anche ad altri batteristi, soprattutto degli anni Sessanta e Settanta, perché mi piace il loro spirito: l’energia che puoi trovare in John Bonham, per esempio, o in Ian Paice, o in Bill Ward. I batteristi a quell’epoca erano davvero potenti, innovativi, creativi, e avevano questo spirito pionieristico che mi piace tantissimo. Hanno davvero sancito il modo in cui un musicista dovrebbe essere, spingendosi oltre i limiti e portando la musica a un livello successivo: vorrei afferrare un po’ di quella attitudine e portarla nel mondo del black metal, e trovare un’espressività che ne sia degna. Questo è il mio obiettivo.
Penso che abbiamo finito. Grazie davvero per il tuo tempo. È stato un piacere e un onore parlare con te. Spero di vederti in sede live.
Grazie a te, spero di tornare presto sul palco perché è passato davvero troppo tempo dall’ultima volta! (ride, ndr)