SARA PERSICO, Sphaîra
Di ritorno dopo il bel Boundary dello scorso anno Sara Persico approfitta delle sue visite a Beirut per calarsi nella magica e abbandonica atmosfera del Centro Fieristico Internazionale Rachid Karame, complesso disegnato dall’architetto Oscar Niemeyer per l’assegnata Esposizione Universale e interrotto dalla guerra civile nel 1975 dopo 13 anni di lavorazione. Nulla da quella volta è cambiato e Sara si è ritagliata dei dialoghi con le strutture, gli spazi e la magia circostante. Sembra di sentire il vento spezzare degli ambienti abbandonati in “Blue Box”, la carica elettrostatica del terreno e delle costruzioni in “Maze”, un’idea di vuoto suggestiva e secca. “Rashid Karami”, la title-track, sembra ingrossare le proprie spire come un rettile alle prese con la propria preda, concentrica, silenziosa e aggressiva. “Domescape” al contrario si limita a coinvolgere stormi di volatili dentro a una linea di suono che sembra seguire il momento fino all’orizzonte, tagliando aria e spazi in maniera pulita. È un’elettronica ambientale in grado di sporcarsi e di dibattersi quella utilizzata da Sara Persico, musica arricchita dai sedimenti di quanto trovato in loco, tra fantasmi vocali e onde sonore. Sphaîra è un disco evocativo che lavora però tra i ricordi e le macerie, riportandoci all’ascolto in un panorama odierno come punto di partenza per scoprirne passato e vicissitudini.
Un lavoro leggero e fulminante, come i granelli di polvere che uniti possono tornare a dar vita al cemento, per un disco che racconta e apre mille interrogativi che non potremo esimerci dall’approfondire.